per la serie ‘farei una nuotatina’…

Magari un giorno avrò la fortuna di incontrarvi… in bocca al lupo ragazzi! Grandissimi!

Una doppia sfida, al mare e alla malattia, quella di due ragazzi con diabete che martedì 7 agosto attraverseranno lo stretto di Messina a nuoto. La giovane Asia Venturelli, 14 anni di Modena, e il torinese Francesco Biasi di 17 anni partiranno da Punta Faro e raggiungeranno la Calabria, presso la spiaggia di Cannitello.

http://m.gazzettadimodena.gelocal.it/modena/cronaca/2018/07/30/news/asia-14-anni-e-la-sfida-al-mare-e-al-diabete-fara-a-nuoto-lo-stretto-1.17105282?ref=fbfmo

Con il diabete, per me, funziona così, un po’ come decidere di una bicicletta.

L’altro giorno si parlava con i colleghi di mobike – la piattaforma di bike sharing arrivata anche a bologna – e mi sono resa conto che non ho ancora scaricato la app. Non ne sento il bisogno, sebbene sia un paio di mesi che ho recuperato una bici da battaglia da usare in alternativa all’autobus. Oppure non ho voglia di cambiare la mia routine feriale nel tragitto casa-lavoro. C’è qualcosa di emotivo, non solo di anti-estetico, nella mia resistenza a lasciare la vecchia bici (ad alto rischio di furto) per la nuova (pratica, utile, sostenibile) bike in condivisione.

Con il diabete, per me, funziona così, un po’ come decidere di una bicicletta. Il punto è accettare i cambiamenti, anche quando sono diversi dalle tue aspettative, riconoscere ciò che cambia i tuoi programmi, la tua vita. E non sto pensando alla situazione generale di vivere con una malattia cronica (parzialmente) invalidante. Penso piuttosto alla vita quotidiana, perché non puoi scegliere, ma accettare e adattare.

Mentre scrivo, in treno, una signora qualche posto più in là parla al telefono con sua mamma. Non immagino neanche quello che sta passando, ma il tono che usa non mi piace, mi mette ansia. Continua a ripeterle che deve firmare le dimissioni, che ormai è già tutto deciso, che lei ha preso un permesso al lavoro. Poi chiama il fratello, perché i medici dicono che i valori di emoglobina si sono abbassati e rimandano le dimissioni a lunedì. Però tutti loro sono stanchi, non riescono più a gestire la situazione e lei a star lì si sta ammalando di più.

Io cerco di concentrarmi in quello che volevo scrivere, con una stretta allo stomaco per quella signora che non conosco, e che non invidio, anziana, malata e che si sente dire che “questa situazione è ingestibile, non sei una bambina, devi firmare e venire a casa”, strattonata tra gli interessi di altri. Poi magari capiterà anche a me di trovarmi nella stessa situazione della signora (la figlia, quella che sento parlare in treno) o dell’altra signora (quella che si trova in una situazione ingestibile per gli altri) e allora farò tesoro di questa conversazionr rubata.

La fortuna di avere un bottone nel braccio per il monitoraggio flash, in estate, è che funziona bene anche per sensibilizzare le persone che hai intorno. E così il gesto di gentilezza, la domanda di sincera curiosità, la battuta di chi hai intorno, aiuta a prendere la vita (quotidiana) con leggerezza, “che leggerezza non è superficialità, ma planare sulle cose dall’alto, non avere macigni sul cuore” (i.calvino). Occorre esporsi, però ne vale il rischio.

uno sforzo di gran lunga maggiore del semplice fatto di respirare

Che sia stata scritta da Pablo Neruda o Martha Medeiros, sono contenta che possiamo leggere questa poesia.

Lentamente muore
chi diventa schiavo dell’abitudine,
ripetendo ogni giorno gli stessi percorsi,
chi non cambia la marcia,
chi non rischia e cambia colore dei vestiti,
chi non parla a chi non conosce.
Muore lentamente chi evita una passione,
chi preferisce il nero su bianco
e i puntini sulle “i”
piuttosto che un insieme di emozioni,
proprio quelle che fanno brillare gli occhi,
quelle che fanno di uno sbadiglio un sorriso,
quelle che fanno battere il cuore
davanti all’errore e ai sentimenti.
Lentamente muore
chi non capovolge il tavolo,
chi è infelice sul lavoro,
chi non rischia la certezza per l’incertezza per inseguire un sogno,
chi non si permette almeno una volta nella vita, di fuggire ai consigli sensati.
Lentamente muore chi non viaggia,
chi non legge,
chi non ascolta musica,
chi non trova grazia in se stesso.
Muore lentamente chi distrugge l’amor proprio,
chi non si lascia aiutare
chi passa i giorni a lamentarsi
della propria sfortuna o della pioggia incessante.
Lentamente muore
chi abbandona un progetto prima di iniziarlo,
chi non fa domande sugli argomenti che non conosce,
chi non risponde quando gli chiedono qualcosa che conosce.
Evitiamo la morte a piccole dosi,
ricordando sempre che essere vivo
richiede uno sforzo di gran lunga maggiore del semplice fatto di respirare.
Soltanto l’ardente pazienza
porterà al raggiungimento
di una splendida felicità.

A me è stata “regalata” al primo anno di università, in un momento in cui stavo scegliendo che direzione dare alla mia vita.
Poi è tornata l’estate successiva, quando l’ho letta una sera davanti a 300 persone, in un momento in cui dovevo aggrapparmi alle cose davvero importanti, per rimettermi in piedi dopo un esordio di malattia con un’emoglobina glicata HbA1c = 15% e glicemie a digiuno di oltre 700 mg/dl (mmol/l – per chi ragiona meglio da chimico).
Ogni tanto è ritornata, qualche frase più in rilievo di altre, quasi a suggerire consigli preziosi, per me o per altri.
L’altro giorno è tornata ancora una volta, proiettata sullo schermo di un intervento a giornate di formazione cui stavo partecipando. Qualcuno direbbe un’altra fortuita coincidenza, qualcun altro corrente universale, karma, un segno del destino, un’altra poesia che può interrogarci. Un altro segno della Provvidenza da leggere con fiducia nella direzione dei propri sogni.

quando lo sport è parte della terapia

“Ma se ti togli quel tappo che hai nel braccio ti sgonfi?” Ringrazio la Berta, perché rido ogni volta che ripenso alla sua domanda, e funziona anche come promemoria.

Quando lo sport è parte della terapia per gestire una malattia cronica, la mancanza di risultati e di tempo nel tran tran settimanale, la pigrizia fisica e mentale e l’incapacità a ritrovare il proprio peso forma sono ostacoli per il delicato equilibrio metabolico. A volte diventano pietre pesanti da spostare.

Poi succede. Esci di casa con poca voglia, molta stanchezza addosso, abbigliamento nero, scarpe benemanonbenissimo, occhiali da sole, chiavi di casa. E niente altro. Glicemia 200 e qualcosa quindi niente zucchero.

Bastano 5 minuti a piedi, giornata di luglio calda ma non troppo, un po’ di aria…all’inizio delle mura inizi a corricchiare.

Dopo 20 min, il respiro è buono e le gambe vanno, il viso si rilassa e la mente è libera. Dopo i primi 3 km capisci che hai ritrovato la tua andatura, il tuo nuovo punto di partenza, e allora puoi gustarti ogni passo immergendoti nello spazio intorno, lo spendido scorcio delle mura di Ferrara.

Terra battuta, rumore di cicale, qualche auto in lontananza, ruote di bici sulla ghiaia, ombra e un refolo d’aria ogni tanto, rumori della natura, gente varia che passeggia, chiacchiera, legge sulla panchina, osserva gli altri passare, discute, corre, porta in giro il cane, cammina, va in bici, alcune facce conosciute, con alcuni un sorriso e un cenno di saluto. Tutto questo rimane sullo sfondo, al ritmo dei tuoi passi, dell’energia che ritrovi in te stessa, della percezione che inizi da qui, di nuovo.

Sarebbe più facile togliere il tappo dal braccio e sgonfiarsi, ma la sensazione di aver conquistato un km dopo l’altro e la percezione di andare mentre fai lo scatto finale alla massima velocità (10 secondi alla massima intensità alla fine di un’attività sportiva previene le ipoglicemia nelle ore successive, specie nelle ore notturne) sono soddisfazioni più grandi. Glicemia 145 dopo un’ora, e 2 unità di insulina in meno stasera. Bene. Avanti cosí.

Viaggiare lento

Sono curiosa, amo viaggiare e mi piace assaggiare i sapori della cucina dei posti in cui sono. Il diabete non limita nessuna di queste cose. Mi piace viaggiare lento, conoscere i posti dove sei di passaggio, respirare la vita di quella terra, parlare con la gente, chiedere consigli, per poi decidere di seguirli o di fare diversamente.

Alla fermata dell’autobus fuori dalla stazione dei treni, aspettiamo il 16 che ci porterà in aeroporto. Un anziano mi sgrida perché sono in piedi con lo zaino tra i piedi “siediti” “grazie, sto volentieri in piedi” “siediti! Ti stai per sedere sul tuo zaino, e qui c’è posto”. Ok. Allora mi siedo, e ripenso a queste giornate alla scoperta di Matera e i suoi Sassi (grazie anche alle perle degli itinerari proposti da Sergio Fadini “A Matera si va, si torna, si resta” & della stessa collana “Fuori traccia. Insoliti itinerari materani”), Bari vecchia, Giovinazzo e la processione a mare di San Francesco, Trani, il mare meraviglioso con qualsiasi luce ci sia ad illuminarlo ed il maestrale. Penso a queste immagini, suoni e odori.

Sassi di Matera. Il silenzio in qualsiasi ora del giorno e i colori che cambiano rispecchiando la luce del cielo.

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Bari. Il vociare e il profumo della griglia nei vicoli della città vecchia.

Penso ai sapori della cucina materana e dei borghi della costa barese. Conteggio carboidrati e puoi organizzarti i pasti della giornata in base a cosa offre il territorio (e a quanto ai scarpinato su e giù per i vicoli dei Sassi), 5 bustine di zucchero in tasca e puoi gestire il calo di zuccheri finchè non trovi qualcosa che ispira la scelta (o finchè non trovi la caletta giusta per tuffarti e nuotare fino a quando ogni muscolo del tuo corpo si è rasserenato), astucci frio (www.friouk.com) e porti l’insulina alla temperatura giusta ovunque con te e per “ricaricarli” basta acqua corrente del rubinetto.

Penso alle persone incontrate. Dal ragazzo che fa il simpatico mentre sto scegliendo con estrema lentezza un paio di orecchini, alle due signore ultrasettantenni di Giovinazzo, che mi spiegano, e io faccio finta di capire, dove trovare da mangiare. La novità di questo viaggio è il sensore nel braccio, che richiama la curiosità di alcuni. Brunella mi aveva colpito subito, per il suo modo accogliente di conversare, la sua risata contagiosa e il viso sorridente. È a tavola, nella fresca serata materana, che giochiamo a carte scoperte: la cena con la sua strepitosa mamma e le amiche diventa anche momento per raccontarci le nostre storie. E renderci conto di quanto c’è di simile nelle nostre vite: insuline diverse, modi di usare la penna diversi, autocontrollo gestito in modo diverso, carnagione e fisonomia diverse, ma una vita con il diabete di tipo 1, che in certe cose è proprio la stessa! Ad un certo punto mi dice che adesso è contenta, anche con il diabete. E io capisco cosa intende dire, perciò sorrido, annuendo con un lieve cenno della testa.

Giovinazzo. Il mare, il maestrale e spettacolo al tramonto.

Trani. Il bianco della pietra e il blu intenso del cielo.

Altra regione, un piccolo borgo medioevale sulla costa adriatica, ora di pranzo. Un posticino in angolo alla grande, assolata e deserta piazza principale, così diversa dalla sera prima quando c’era la festa del santo dell’8 luglio. Con Paola ci divertiamo a cogliere frammenti di discorsi dagli altri tavoli, tra una nostra chiacchiera e l’altra, finché non rimaniamo solo noi. La giovane e simpatica cameriera, Annalisa, si avvicina in po’ in imbarazzo “Scusi signora, anche lei è diabetica? Ho visto che ha nel braccio… me lo hanno consigliato in tanti (il sensore per il monitoraggio flash) ma io non so se voglio usarlo”. Scambiamo due chiacchiere, alcune informazioni tecniche e alcune suggestioni personali. Andando via, il viso illuminato e contento di Annalisa, mi convince ancora una volta che questo bottone nel braccio, sì mi espone alla curiosità (e ai giudizi) degli altri, ma permette di farmi notare anche da chi ha voglia di ascoltare e raccontare granelli di vita simili ai miei. Per me sono incontri preziosi, che diventano ancora piu importanti nei momenti difficili, quando per esempio le glicemie sballate, la poca voglia di star dietro a tutto, la frenesia del tran tran quotidiano diventano faticose. Incontri che sono un valore aggiunto al viaggiare lento.

Oggi porto a casa tre cose

Passeggiata in spiaggia, nonostante l’imbarazzo per l’estetica del mio corpo in costume, forma a pera e buccia d’arancia. Sto chiacchierando in buona compagnia ma sento comunque una vocina delicata e coraggiosa… “scusa…hai il diabete anche tu?!” Mi giro, uno scricciolo tutto sorriso e due occhi attenti e luminosi, incorniciati nella montatura degli occhiali, capelli raccolti come va di moda tra le ragazze delle medie, costume con gli emoticon, sensore e microinfurose, sulla pelle decisamente più abbronzata della mia. Capisco all’istante che è una tosta: minuta e tenace (lo si capisce dalla schiena dritta e le spalle aperte).

È così che conosco Giulia, una ragazza di seconda media, con il diabete da quando aveva cinque anni, super tecnologica e coraggiosa. L’ho già detto questo, ma per portare con disinvoltura e stile tutta l’apparecchiatura che le serve dove il suo pancreas non arriva ci vogliono delle belle qualità. Chiacchieriamo un po’, di sensori, di microinfusori, di scuola, di vita quotidiana.

Una mezz’oretta prima stavo parlando con il mio amico su quanto sia utile il monitoraggio flash, anche se il bottone nel braccio è tutt’altro che discreto e, oggi come oggi, non sempre si ha voglia di far sapere che hai una malattia cronica, anche invalidante. Sono dell’idea che il mondo non sia ancora pronto per accettare una persona con il diabete di tipo 1 senza farla sentire a volte sbagliata e fuori posto. Le eccezioni che concede il mondo del lavoro spesso sono dovute alla possibilità di iscriversi alle categorie protette, magari lavorando a ritmi troppo veloci anche per un collega sano.

Penso davvero sia cosí, ma a vedere questa ragazzina sono anche profondamente convinta di quello che le dico… con il diabete si può vivere una vita piena e felice come le altre persone senza diabete. Vero, si deve accettare una quotidianità scomoda, ogni giorno si deve accettare dall’inizio. L’importante, secondo me, è fare bene quello che si deve fare, prendersi cura della propria salute fragile e delicata, pensando che ogni giorno di glicemie buone è un tesoro prezioso. E se le cose non vanno bene, cercare di sistemarle, senza ansia peró, né farsene una colpa, perché a volte ci sono fattori su cui non abbiamo un controllo diretto. Fare sport aiuta tanto, per ridurre al minimo sia gli alti/bassi glicemici, che le dosi di insulina.

La chiacchierata continua un altro pochino anche con i genitori… gente in gamba. Il loro punto di vista è diverso dal mio, li posso comprendere solo in parte, perché io non ho una figlia con il diabete.

Penso ai miei genitori, che mi hanno sempre supportato, sopportato, ascoltato, ripreso, voluto bene, in qualsiasi momento della mia storia clinica. Il loro merito più grande, penso, è non essersi mai sostituiti a me. Non è una cosa scontata, soprattutto quando nelle visite (ambulatoriali, pre/post intervento ecc) alcuni medici facevano loro domande su questo su quello… sulla mia salute! Non ho mai lasciato che rispondessero loro per me, ma nel momento in cui il peso della situazione diventava troppo, erano già lí ad alleggerire un po’ le mie spalle, in modo concreto. Preparandomi da mangiare esattamente come da manuale, aspettando che mi si abbassassero le glicemie anche se voleva dire cenare tutti dopo le 9, lasciando passare i momenti di sclero senza dire una parola anche quando uscivo di scena sbattendo la porta e non volevo ascoltare niente e nessuno, mettendomi una mano sulla spalla quando non c’era niente da dire ma solo aspettare che le lacrime finissero di scendere, ascoltando per imparare da me le mie esigenze e le mie modalità di affrontare la terapia, senza sminuire né esasperare la malattia, senza offendersi se non avevo voglia di confidarmi con loro e allo stesso tempo preoccupandosi che ci fosse sempre qualche adulto di cui potermi fidare.

Ascoltando questa famiglia, osservandoli, mi sento anche io fortunata… proprio vero che da un incontro sincero con chi incrociamo sulla nostra strada possiamo continuare un po’ piú ricchi di prima. E oggi porto a casa tre cose. Un nuovo contatto utile per la mia questione irrisolta del momento, una consapevole graditudine per la mia Vita in questa vigilia di compleanno, un’affettuosa stima per questa piccola grande ragazza che mi ha fermato, chiedendomi di mettere in ordine di priorità le fatiche e le conquiste della mia vita con il diabete di tipo 1.

Auguri a me, buona Vita a te, Giulia!

Non semplificare mai le cose complicate

Lezione del giorno di mia nipote, due anni e un po’, una penna delle principesse con brillantini e uno sguardo vispo e serio.

Prima punta alla pancia di sua mamma, poi spiega, con quel viso buffo da ‘come fai a non aver capito?!’, che vuole mettere la penna sulla pancia come fa la zia Mery.

Niente altro da aggiungere.

“Non semplificare mai le cose complicate e non complicare mai le cose semplici”, prendendo in prestito le parole di Arundhati Roy. Ogni puntura così.

e via di corsa…

Non sono a commentare gli enormi e indispensabili benefici del praticare sport, non ora, anche se ne sono profondamente convinta.

E non solo perchè ho sempre fatto sport e sono stata “cavia” per uno studio di tesi di mia sorella, che è stata un’esperienza molto interessante dal punto di vista sperimentale e personale. Infatti, mi accorgo di effetti positivi sul valor medio delle glicemie (si abbassa mediamente la glicemia basale) e sulla deviazione standard (i valori sono ravvicinati, cioè è più difficile trovare valori molto diversi tra loro). In questo modo, per me, è possibile quantificare una parte del benessere psicofisico che ci si ottiene con lo sport praticato in modo adeguato e costante.

L’allenamento sportivo può essere utile anche in situazioni apparentemente indipendenti dalla salute, che si dimostrano peró essere un risparmio di tempo e denaro.

Ad esempio quando sei sul treno regionale veloce delle 18.20 per tornare a casa, dopo una giornata di lavoro e l’acquisto delle scarpe per il matrimonio di sabato. Non appena preso posto in treno entri in uno stato di torpore e rilassamento, dovuto anche al fatto che ti mancavano solo quelle scarpe per completare le combinazioni di abiti e accessori per la serie “5 matrimoni per la stagione estiva” inaugurata il 1 giugno. Il tempo di ripensare alla signora in autobus che, in modo gentile, si era inserita nel discorso col tuo collega dichiarando “fare il pendolare è tempo perso e quindi totalmente inutile” e ti vengono in mente un paio di righe da buttar giù, ma poi cedi alla stanchezza e perdi la cognizione del tempo e dello spazio.

Ti riprendi al rallentamento in curva poco prima della tua fermata e scendi dal treno tra i primi, guadagni una buona posizione nel sottopasso e prendi con decisione l’uscita laterale sul binario uno. Intanto la tua mente ha iniziato a elaborare le cose da fare e il tempo stimato per farle entro sera. Flash! Le scarpe sul treno!

Ti giri, stringi la borsa, ti togli gli occhiali da sole e corri! Corri sul binario uno, corri schivando tutti i passeggeri flemmatici e spossati a fine giornata, chiedendo permesso, destando cuirosità (e forse un po’ di tenerezza nei pendolari esperti), corri giù dalle scale, corri nel sottopasso, controcorrente e schivando chi ti trovi di fronte che nemmeno lady Cocca con i rinoceronti del principe Giovanni, corri salendo le scale, tendendo l’orecchio a fischi o sferragliamento di ruote. Fai qualche gradino ma ti ricordi che eri scesa dall’altra rampa, allora cambi direzione e corri sul binario dalla parte giusta. Le porte si stanno chiudendo, cerchi a colpo d’occhio la tua carrozza… no non questa porta, quella prima, dove ci sono pochi posti. Intanto il fischio, ma tu ti stai sbracciando. Il capotreno ti vede e alza le braccia con desolazione mista a un briciolo di pazienza. Allora gridi che hai lasciato una cosa in treno e ti lanci attraverso la porta, afferri la sportina e, come sei arrivata, sparisci giù dal treno.

Ti sbracci di nuovo, questa volta per ringraziarlo il capotreno, che ricambia con un saluto, fischia e riparte.

Gestire un’ipoglicemia importante è così: lucidità, volontà, tempestività. E una senzazione di stanchezza e leggerezza quando tutto è passato.

Monitoraggio flash, cedrata e abbracci benessere

Lasciare l’ombrello al lavoro quando inizia un temporale di fine maggio non è cosa furba. Ma se hai la possibilità di improvvisare una cedrata in compagnia di un’amica che ritaglia un paio d’ore di tempo da famiglia e lavoro, varrebbe comunque la pena arrivare inzuppata di pioggia sul treno. Fortunatamente a Bologna ci sono i portici (quanto amo i portici di Bologna).

Se fosse stato ieri, prima di riempire il bicchiere dando un’occhiata veloce al contenuto di zuccheri riportato sull’etichetta (quanto mi piace lo stile circense delle etichette baladin), avrei passato il lettore Free Style Libre sul braccio, eventualmente facendo una correzione di insulina, e mi sarei gustata la cedrata e le chiacchiere. Questa tradizione con questa amica ha avuto inizio un pomeriggio estivo come tanti, quando fermarsi a bere qualcosa di fresco in un bar per riprendersi dall’arsura emiliana si è trasformato in un momento di condivisione che poi ha contribuito a mantenere ed apprezzare la nostra amicizia negli anni. Non sempre quando ci si vede beviamo cedrata, ma ogni tanto è quella volta non potremmo ordinare altro.

Oggi però sono senza sensore, dopo che stamattina ho avuto un problema con quello “indossato” nel braccio (nel senso che il sensore è posizionato sul braccio con un adesivo e con la micropunta sottocute, precisamente nel fluido interstiziale. Il sensore non fa male nè fastidio, dall’esterno (soprattutto con le braccia scoperte) ha l’aspetto di un dischetto di plastica grigio grande come una moneta, che deve essere sostituito ogni due settimane. Uno svantaggio che al momento mi viene in mente è il rischio di perdere l’autobus quando devi tornare a casa perché i colleghi ti chiedono “scusa ma cosa è quella cosa lì che hai nel braccio? Da cosa stai cercando di smettere?!” Non sempre la risposta “A Ferrara abbiamo i cassonetti con l’apertura delle calotte elettroniche” è sufficiente a cambiare argomento, comunque sempre rispondo volentieri alle domande sinceramente curiose. Per il resto questo sistema cosiddetto di monitoraggio flash migliora la qualità delle glicemie e della vita: non costa niente in temini di tempo, attrezzatura necessaria, fastidio, goccia di sangue, rifiuti da buttare… l’equivalente di pulire con una manica lo schermo dello smartphone (la misura istantanea consiste in una scansione wireless del sensore con un lettore).

Vero che, come affidabilità del dato analitico, le performance di questo sistema possono non raggiungere quelle dei sistemi di misurazione dal sangue capillare (glucomentri con le strisce), principalmente a causa delle differenze fisiologiche tra sangue e fluido interstiziale. Tuttavia l’efficacia del mio autocontrollo glicemico è migliorata tantissimo. Probabilmente perché il sensore risponde alle mie aspettative di pigrizia. Infatti, paradossalmente, “misurarmi la glice” è più complicato in termini di somma di azioni da fare (quindi più sbattimento) che “punturami” (fare iniezione di insulina con la penna). Per me vale così, meglio un numero più elevato di misure meno accurate piuttosto che un numero inferiore di misure più vicine al valore vero. È statistica. E la statistica aiuta a prendere le decisioni strategicamente migliori, se sei in grado di interpretare i dati.

Due considerazioni. 1) quanto affascinante è il nostro organismo se si pensa che, in un soggetto sano, questo continuo autocontrollo e rilascio di insulina avviene senza che volontariamente ci si debba pensare. 2) si parla già di pancreas artificiali, sistemi per cosi dire “autoregolanti”, ma attualmente anche il più sofisticato sistema di autocontrollo in uso clinico, necessita di un cervello funzionante.

C’è un aspetto importante per la malattia che il monitoraggio flash aiuta a mantenere sotto controllo: il time-to-range, ossia la percentuale di tempo in cui i valori glicemici stanno entro i limiti di controllo, cioè vicini ad un valore ottimale. Ogni giorno, 24ore al giorno e qualsiasi cosa l’organismo debba fare per vivere. Il lettore visualizza l’andamento continuo delle glicemie e quindi permette di tenere sotto controllo le oscillazioni dei valori. Per una testa pensante, questo andamento è un parametro strategicamente molto utile. Per me vale così, avere sott’occhio valori buoni invoglia a mantere e migliorare la situazione, così come avere la possibilità di valutare in brevissimi attimi le glicemie facilita a intervenire per correggere la situazione è monitorare i cambiamenti.

Tornando in quel locale carino e alla cedrata sul tavolo, senza sensore, i casi sono due. A) Non misurare la glicemia, bere la cedrata, tornare a casa e magari a ora di cena trovarsi 260 (mg/dl). Oppure B) Rovistare in borsa fino a trovare il borsino con glucomentro, aprire la app BSI Care sullo smartphone (perché hai la fortuna di essere una paziente 2.0 e di avere un diabetologo che l’ha capito), inserire il glucomentro nel buchino per l”auricolare, inserire la striscia nel glucometro, bucarsi il dito con la pennetta pungidito, far assorbire la gocciolina di sangue dalla striscia e aspettare 5 sec (il tempo necessario perché avvenga la reazione tra il glucosio presente nella gocciolina di sangue e l’enzima contenuto nella striscia e perchè il prodotto di questa reazione biochimica venga quantificato e tradotto in un valore sullo schermo del cellulare), inserire i grammi di zucchero riportati sull’etichetta, leggere la quantità di insulina da fare eventualmente come correzione, prima di gustarsi la cedrata e le chiacchiere. Personalmente, a volte la somma delle azioni da fare nel caso B è troppo “ingombrante” e la scelta ricade sull’opzione A, che però non coincide con la scelta migliore per la qualità delle glicemie e della vita.

Due considerazioni finali. 1) Quanto apprezzo la tecnologia che migliora la qualità della vita! E se oggi non mi fossi trovata senza sensore (perché era l’ultimo a disposizione per lo studio clinico cui sto partecipando e che termina tra due settimane) non ne avrei colto l’effetto positivo sulla libertà di vivere quasi come se il mio pancreas stesse facendo il suo lavoro senza che il mio cervello se ne debba occupare volontariamente. 2) Quanta ricchezza le persone che abbiamo occasione di incontrare ogni giorno! Se vivessi su un’isola deserta probabilmente non dovrei preoccuparmi di prendere il treno, ma mancherebbero quei momenti di incontro che sono come abbracci benessere e ti donano leggerezza.