Diabete e Ricerca: scoperto meccanismo che provoca la perdita di cellule beta pancreatiche

Per la serie “buone nuove”, riporto qui il link di un articolo che ho curato per A.D.Fe.

Diabete e Ricerca: scoperto un meccanismo che provoca la perdita delle cellule beta pancreatiche

Recenti studi internazionali del CRC Invernizzi della Statale di Milano hanno identificato un meccanismo che determina la morte delle cellule beta (quelle che producono insulina) in corso di diabete. Lo sviluppo di farmaci in grado di proteggere tali cellule rappresenta un’opzione terapeutica di grande rilevanza.

Buon compleanno #microP

Un anno con microP.

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di diabete, di microP e un di me

Le mie amiche avevano consigliato di dargli un nome, al microinfusore…

Avevo spiegato loro il microinfusore come un aggeggio tecnologico dall’aspetto di un lettore mp3 (un po’ vintage a dir la verità) e con le prestazioni algoritmiche di una Ferrari (con i suoi 7 algoritmi che rielaborano le informazioni del monitoraggio glicemico, lo storico dati mediante elaborazione statistica e la risposta insulinica con calcoli predittivi… così da determinare la quantità di insulina da iniettare, ogni 5 minuti, per raggiungere l’obiettivo glicemico target nell’ora successiva). Loro, preoccupate della mia sbadataggine con smartphone e tendenza a lasciare cose sparse in giro per il mondo, suggerivano di dargli un nome… e di prendermi cura di lui.

La cosa non mi convinceva perché nel frattempo, nei quindici e più anni dall’esordio della malattia, avevo maturato la convinzione che il diabete, proprio perché malattia, come tale va trattata: deve essere gestita e trattata in modo oggettivo. Per me vale così. Ci sono stati momenti in cui il diabete quasi mi sembrava fosse un’altra persona nella mia vita, da tanto era ingombrante la sua presenza e subdoli i condizionamenti psicologici. Da lì la mia ferma convinzione che non avrei mai dato un nome al microinfusore.

D’altra parte, chi mi conosce sa, il mio modo di gestire il diabete è abbastanza trasparente: dico tranquillamente “ho le glice sballate”, “mangio qualcosa che sono in ipo”, “vado a punturarmi e torno”. Ho sempre pensato che queste sono azioni che devo decidere e fare dall’esterno perché il mio pancreas è un po’ stronzetto, oltre che difettoso. Per me quindi spontaneo dire microP per riferirmi al mio pancreas artificiale, ed in realtà a tutto il sistema complesso di gestione che ci sta dietro anche se non si vede. micro è diminutivo di microinfusore ma anche sinonimo di piccolo, invisibile, ed ancora più significativo nella mentalità scientifica di chi è abituato a lavorare con ordini di grandezza del molto piccolo. P è l’iniziale di pancreas.

Oggi che ripenso a questo anno con microP, faccio un bilancio del percorso fatto, di come ero e di come sono diventata, di come sia cambiata la gestione della malattia per me. Mi vengono in mente tre considerazioni…

1) La maggior parte delle persone che conosco hanno un pancreas che le sgrava da star dietro a tante cose metaboliche, senza neanche che loro se ne accorgano… Questa idea mi ha aiutato ad affrontare certe spiacevoli situazioni in cui mi sono sentita discriminata, osservata speciale o giudicata a causa della mia malattia. Definire gli “spazi” della malattia però è necessario per non identificarsi con la malattia stessa, rischio che ogni tanto torna più rumoroso, soprattutto quando le cose non vanno molto bene.

2) MicroP è collegato alla mia pancia mediante un catetere, che sostituisco ogni quattro giorni circa, e quindi è per me un accessorio che va sempre indossato, però è un po’ più invasivo e personale di un paio di occhiali. Questa “personalizzazione”, a pensarci bene, è rappresentata dal fatto che le iniziali del mio nome sono EmmePi… le stesse di microP!

3) Quando ho iniziato con dolcementetipo1.com mi ero divertita creando una word cloud che rappresentasse il mio punto di partenza, la mia necessità di verbalizzare e prendere coscienza del groviglio di concetti, emozioni e domande che mi portavo dentro, il desiderio di condivisione di quella esperienza che mi ero trovata nella vita senza averla voluta: l’esperienza di una malattia cronica.

Cerco quella vecchia word cloud per confrontare idee vecchie e nuove, e mi accorgo che la silhouette tratteggiata qualche anno fa è la stessa della foto scelta nell’ultimo articolo scritto sul blog, quella che al momento rappresenta bene come mi sento, con un buon equilibrio glicemico. E allora sorrido e respiro profondo divertita perché la vita sa davvero essere ironica con me. Anche se ho il diabete.

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Dieci cose che il dt1 mi ha insegnato

#100anni di insulina

L’11 gennaio 1922 l’insulina viene usata per la prima volta per curare il diabete in un essere umano. Durante un test clinico all’Università di Toronto, una iniezione di insulina bovina fu somministrata al 14enne Leonard Thompson dall’endocrinologo Frederick Banting, che stava facendo esperimenti su come estrarre l’insulina dal pancreas. Il ragazzo ebbe una reazione allergica dopo la prima iniezione, ma successivamente l’estratto venne migliorato e una seconda iniezione, somministrata poche settimane dopo, fu efficace. (fonte: portalediabete.org)

Un po’ di storia (e qualche considerazione personale) qui: World Diabete Day per me

Dieci cose che il dt1 mi ha insegnato

Dieci cose che – ahimè – il diabete mi ha insegnato a non dimenticare (in ordine sparso di come mi sono venute in mente).

1. Quando le glicemie vanno fuori controllo senza motivo, quando il sensore deve essere sostituito nel momento meno opportuno… la gentilezza. Con me stessa, per le battaglie da combattere ogni giorno. E con gli altri, perché non puoi sapere l’altro quali battaglie stia combattendo.

2. Quando non si vedono i risultati sperati nonostante l’impegno e le fatiche… la perseveranza. Nelle piccole cose di tutti i giorni e nelle cose grandi della tua vita.

3. Quando le cose non vanno come vorresti… così come quando vanno esattamente come desideravi… la sincerità. Chiamare le cose con il proprio nome, andare oltre alle apparenze, accettare i fallimenti, riconoscere i traguardi raggiunti con successo.

4. Quando il sensore dice una cosa, il tuo intuito ne dice un’altra… l’ascolto. Fermarsi, prendersi il tempo, togliere il rumore, stare in silenzio, sentire, accogliere.

5. Quando non stai bene… l’umiltà. Fare un passo indietro, chiedere aiuto quando serve, riconoscere i propri limiti e ripartire.

6. Quando le cose vanno per il meglio…la gratitudine.

7. Quando non capisci perché proprio a te… la fragilità. Perché anche quando non vogliamo pensarci, siamo “invincibilmente fragili ed imperfetti”. A volte meno, a volte di più.

8. Quando ti sembra di non farcela… la fiducia. Ogni giorno, ogni passo…

9. Quando incontri un compagno di viaggio… la condivisione. Cuore a cuore, con semplicità.

10. Quando ti accorgi che non sei la tua malattia, che sei più di glicemie, insulina, bip-bip del microinfusore, referti di analisi, autocontrollo, che sei preziosa così come sei… la bellezza nella tua vita, della tua vita.

/decompressione/

Corridoio di attesa di un ambulatorio specialistico del servizio sanitario regionale.

Gli ultimi mesi un buon equilibrio glicemico. Le ultime settimane un bel casino di gestione di microP. Telefonate in assistenza, corrieri con pezzi di ricambio, tentativi vani di scarico dati.

Mi siedo in fondo, lontano da tutti, vicino alla porta un po’ aperta dove passa aria fresca. Aspetto. Penso alle persone incontrante in Ecuador negli anni… al tríage, alle misure delle glicemie, con il dermatologo, il ginecologo, la pediatra… mi lascio ispirare dal loro atteggiamento tranquillo di attesa. Cerco di pensare a cosa è importante per me in questo momento, dal punto di vista glicemico.

Fondamentale poter scaricare i dati. Riprovo ancora una volta, con il medico, anche se ogni messaggio su pc e su microP sembra dire che non sia possibile. Poi “ultimo scarico dati 25/11/2021 10.44 am”. Mi sembra incredibile, dopo tutti i tentativi andati male, verifico che la sincronizzazione con la app è avvenuta mentre ero in corridoio ad aspettare!

Il resto è tutto in discesa, tutto da fare, un po’ per volta. La direzione è quella giusta, qualche aggiustatina alla terapia, qualche scrupoloso promemoria per il prossimo controllo. Lentamente, con pazienza, senza stancarsi di prendersi cura.

Un rapido scambio di battute su progetti che devono partire – è tempo di partire – con ADFe… non è questo il tavolo di lavoro, ma è sulla base dell’esperienza personale che ci si prende a cuore i progetti.

Nel frattempo ha finito anche il tizio che era prima di me al triage. Un personaggio spettacolare, un po’ scalcagnato, fuori dal tempo e anche un po’ fuori dal contesto, gentile e sparso. Mi sembra un fumetto prestato al mondo reale.

Ne approfitto per fare due chiacchiere con lui, mi fa tenerezza. Nella sua stravaganza mi sembra essere consapevole della malattia, più o meno. E lui, nelle sue frasi un po’ sconnesse, si preoccupa di me, che sono giovane, e lui ormai è vecchio. Mi ricorda quanto sia importante sentirsi compresi e accolti, nelle situazioni della nostra vita.

“Arrivederci. Stia bene!” gli dico.
“Grazie signorina. Anche lei mi raccomando!”

14 nov: #WDD GiOrNatA mOndIaLe DiABeTe

Da quando mi è stato diagnosticato il diabete, il 14 novembre – Giornata Mondiale del Diabete – è un’occasione per fare un piccolo bilancio annuale… E così, ogni 14 novembre per me è fatto un po’ a modo suo, perché io sono diversa, la mia vita e la mia vita con il DT1 lo sono.

Quest’anno mi accorgo di aver trovato una dimensione più equilibrata. A livello fisico, grazie all’utilizzo di microP (microinfusore minimed 780G, ndr)… che richiede una gestione sempre “ragionata” dell’apparecchiatura, con le possibilità e i limiti della tecnologia (che è un grande aiuto e che comunque non ai sostituisce alla gestione personalizzata in cui io sono la protagonista H24). E nel mio percorso continuo di crescita personale perché vivere con una malattia cronica richiede lo sforzo di prendersi cura della propria salute con un po più di attenzione rispetto alla media e allo stesso tempo quello di non finire per identificarsi con la propria malattia o con le situazioni di difficoltà che si possono incontrare nella quotidianità.

Quest’anno il 14 novembre, per me, già sarà significativo per due motivi. Il primo è che ricorre il centenario della scoperta dell’insulina. E non potrei vivere senza, insulina e zucchero sono sempre con me. Sempre.

Il secondo è che domani sarà la prima occasione per condividere questa giornata con ADFe, in centro nella mia città. E sono emozionata. Molto.

Più info qui.

Vita da pendolare con microP: la (mia) vita con il DT1

Tipico pomeriggio autunnale al lavoro.

MicroP avvisa glicemia 66 mg/dL (sensore GL3, di tipo CGM, ndr). Non ci credo… sarà ora di cambiare il sensore…

Glicemia (capillare) 203 mg/dL. “Cambiare sensore”. Ecco appunto…

Rapida sequenza di operazioni:

1. Faccio un bolo correttivo (nel mio caso, in questo caso, 1,7 U). In pratica, dico a microP di fare una iniezione “extra” di insulina, per “correggere” il valore di glicemia.

2. Metto il trasmettitore (la “chiocciola bianca”) in carica… la base è sempre con me in borsa, insieme al Labello e a due pile di scorta, una per la base, l’altra per il microinfusore.

3. Cambio il sensore (l’ago sottocutaneo, di cui si vede la parte esterna grigia). Fissando il tutto con il cerotto, perché il sensore deve stare lì (sulla pancia ad esempio) una settimana. Al lavoro, ho una scorta di tutto, compresa una fiala di insulina… non puoi permetterti di farti trovare impreparata quando lavori a 50 km da casa.

4. Collego il trasmettitore al microinfusore. Concretamente attacco la chiocciolina al sensore. Poi verifico la corretta “associazione” del dispositivo (sensore) al microinfusore. Inizia il “periodo di attesa” di 2 ore.

Esco da lavoro e sono in bici verso la stazione per prendere il treno… dovrò calibrare… metto MicroP in tasca. Ad un incrocio, microP vibra, poi suona. Ecco appunto… “Calibrazione necessaria”.

Glicemia (capillare) 213 mg/dL. Calibrazione. Modalità automatica. “Glicemia alta”. Correzione auto (nel mio caso, in questo caso, 1,7 U).

Arrivo in stazione. Ho perso il treno, prenderò quello dopo.

Se tutto va bene, e le glicemie sono stabili, tra 6 ore… altra calibrazione. Poi, se tutto va bene e le glicemie sono stabili, la prossima calibrazione dopo altre 12 ore.

Primo giorno di nebbia vera

La scelta dei vestiti ricade su toni tenui. Il capello rigorosamente legato per non impazzire. Autumn vibes su Spotify.

L’altro giorno in treno due studenti parlavano di esami, in presenza vs in remoto. E allora avevo pensato all’agitazione, al senso di inadeguatezza, al desiderio di raggiungere obiettivi senza fare fatica.

Guardo fuori dl finestrino e c’è solo nebbia. Flashback ad un esame in cui avevo avuto la sensazione ci fosse solo nebbia nella mia testa. Ero preparata, e ne ero consapevole. Quello era uno spazio in cui si manifestava altro.

Mi vedevo da fuori: studentessa impreparata, e anche abbastanza stupida da non saper improvvisare qualcosa di sensato da dire. Mi vedevo da dentro: ero io e allo stesso tempo non ero io, per come mi conoscevo davvero.

Prof: qual è il problema?

MP: guardi, non lo so in tutta sincerità. Sono preparata, non le avrei fatto perdere tempo altrimenti. Ho un blackout totale.

Prof: lei lo sa che non ho bisogno di farle le domande all’esame per sapere che voto segnarle sul libretto vero? mi basterebbero quelle che lei ha fatto a me a lezione.

In quel momento chi mi guardava da fuori aveva lo stesso sguardo che io non riuscivo ad avere su me stessa. Ho deciso che era il momento di affrontare una mia questione irrisolta, il trauma dell’esordio di una malattia, insieme a pezzi della mia storia di cui ancora non avevo consapevolezza. Ho iniziato un percorso con una brava psicologa.

Dopo qualche settimana ho passato bene l’esame. Il voto sul libretto rappresenta ancora oggi tutto quello che quella situazione si è portata dentro, e quella è in realtà la soddisfazione più grande.

Dopo un tempo più lungo, né troppo né troppo poco, il percorso con la psicologa è terminato. Ogni tanto quando ripenso a quegli anni ringrazio quella studentessa impanicata di aver avuto il coraggio di scegliere. Scegliere di voler cambiare, riconoscere di aver bisogno dell’aiuto di qualcun altro, fidarsi che il risultato per quanto ignoto sarebbe valso l’impegno.

A distanza di anni, oggi, penso e sorrido…

1. Le persone sono molto più di quello che sembrano ad un primo sguardo veloce

2. Le cose iniziano a cambiare quando si ha il coraggio di chiamare le cose con il loro nome

3. La vita ti mette di fianco persone che ti accompagnano. A volte potresti essere tu a dover accompagnare chi la vita ti mette di fianco. Il più delle volte ci si accompagna reciprocamente, e con semplicità

Guardo di nuovo fuori dal finestrino. E vedo le persone che aspettano sul binario. Ognuna con la sua storia, ognuna bella a modo suo.

Poi suona l’allarme di microP (il mio microinfusore, ndr) da sotto la maglietta… ma questa è un’altra storia!

È la vita che accade

Qualche anno fa nasceva dolcementetipo1.com… allora tre cose mi avevano portato a iniziare questa avventura.

La mia personale necessità di chiamare le cose con il proprio nome, di guardare in faccia il diabete per quello che è (una malattia cronica e subdola), di trovare una nuova me stessa (con il diabete ma pur sempre me stessa, senza identificarmi nella malattia, anche nei momenti più difficili!)

La curiosità di mettermi in rete con altre persone e con altri canali di “corretta informazione” sulla malattia. Quando ho avuto esordio della malattia i canali social non esistevano ed il mio bisogno di informarmi, approfondire, conoscere il diabete oltre le poche informazioni che ricevevo dal medico non trovavano quasi mai un’adeguata risposta sul web (quante ore passate in biblioteca all’università spesso con senso di frustrazione e solitudine).

Il sogno di costituire un’associazione di persone con il diabete nella mia città. Nei primi 15 anni di malattia non ho trovato nessuna realtà che potesse aiutarmi a sentirmi meno sola. Una mancanza che mi ha fatto soffrire e sentire ancora più insicura sotto il peso della malattia.

Poi un paio d’anni fa i primi riscontri inaspettati e positivi… il coraggio di metterci la faccia… e alla fine del 2019 la fortuna di trovarmi al momento giusto nel posto giusto, insieme a quelli che sarebbero stati gli altri soci fondatori di A.D.Fe.

Qualche giorno fa, dopo tutti gli imprevisti e le probabilità dell’ultimo anno, la prima assemblea dei soci. Un momento importante.

E così, un paio d’ore prima, mi fermo e mi ascolto. Un misto di…

sOdDiFaZiOnE perché quell’idea che ci fosse anche nella mia città una realtà associativa per persone con il diabete… ora per me è concreta e ha il volto e le storie delle persone che ci sono dentro insieme a me.

sErIeTÀ perché penso che le cose importanti, per te e per gli altri, richiedano anche impegno, senso di responsabilità e voglia di fare bene.

gRaTitUdiNe perché nella vita con una malattia cronica come il diabete… capirsi al volo, cercare soluzioni e modi di pensare nuovi, provare a fare insieme quel piccolo cambiamento che vorresti vedere realizzato non ha prezzo!

…e quella sensazione che giorno dopo giorno, passo dopo passo, è la (mia) vita che accade!

Esserci

All’università, quando ho ripreso dopo un break di riassestamento e un paio di operazioni, ero in soggezione… insicura su tutto e scombussolata per l’esordio di una malattia invisibile e subdola. Puoi avere una vita normale, bella e intensa (ne sono certa!) ma una piccola parte del tuo cervello è sempre (almeno, il mio cervello sempre!) occupata a rielaborare informazioni per compensare le mancanze fisiologiche metaboliche. Quello che vivi ora è legato a quello che hai vissuto prima e impatterà quello che vivrai poi. Metabolicamente parlando. Il tuo esserci fisicamente, con qualche effetto sul tuo esserci emotivamente e mentalmente anche.

All’unife, quando ho ripreso a frequentare il mammut, ero in soggezione… i miei compagni di corso giovani brillanti e belli. Io mi sentivo di colpo invecchiata (in un corpo in un cui non mi riconoscevo più), impacciata su tutto (nella gestione della malattia e nelle cose che facevo prima, con una fatica nuova a concentrarmi davvero fino in fondo) e anche un po’ bruttina (in questo non c’entrava il diabete ma faceva parte del pacchetto).

La mia vita però è andata avanti, con momenti bellissimi, alcune pacche sui denti, per lo più tanti piccoli momenti quotidiani, è andata avanti anche quando io non mi sentivo pronta ad affrontarla. C’è anche stato il terremoto in Emilia. Ma io ero all’estero per qualche mese (da sola ed indipendente come non pensavo più di riuscire ad essere). E ho pensato che ognuno ha la sua strada…

La mia è una strada tutt’altro che lineare e comoda, ma che bellezza! Se mi guardo intorno, paesaggi e spaccati di mondo che mi fanno pensare che non vorrei essere da nessun’altra parte in quel momento. E per ogni scorcio, la sua colonna sonora di accompagnamento. Oppure il silenzio, quello che si fa ascoltare.

Adesso ci ripenso e le fatiche di quegli anni, psicologiche più che pratiche in realtà, lasciano il posto alle tante persone che mi hanno dato supporto, che sono state benevole con la mia “battaglia a rimettermi in piedi”, che semplicemente hanno continuato a guardarmi per quella che ero, che ero stata senza malattia e che continuavo ad essere anche con il diabete.

La sfida e l’opportunità è “esserci”, nelle cose, nelle relazioni, nella propria vita così come ti si propone. E “starci”, rispondendo così come sei, semplicemente imperfetta e unica.

Adesso ci ripenso e quest’anno, per la prima volta, passerò la giornata dell’esordio come un giorno qualunque. Segnerò sul calendario il giorno in cui ci sarà una cura definitiva per il diabete. Spero di esserci in quel giorno, perché ci sarà davvero da festeggiare!