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Manabì e i diabetici che non posso dimenticare

Apro gli occhi prima della sveglia, con il rumore delle onde dell’oceano in lontananza, ma abbastanza vicino da coprire in parte i chicchirichì sparsi nei dintorni. Un po’ prima delle 6 del mattino, San Lorenzo, un migliaio di abitanti, paese di pescatori sulla costa del Manabì, Ecuador. Sento delle voci, mi affaccio dal patio verso la strada… i primi diabetici sono già lí che aspettano.

In questa zona il diabete di tipo 2 è un grosso problema, e molte persone non riescono a sostenere i costi delle cure.

Non è la prima volta che sono qui e già so un po’ come funziona nel piccolo dispensario dell’OMG, gestito da Maigua. Due giorni la settimana si misurano le glicemie (a digiuno – ecco perché il vociare e le risate mentre il cielo ancora schiarisce – oppure postprandiale), mentre una mattina la settimana c’è la doctora diabetologa che visita.

I farmaci (metformina in tabletas come si dice qui o insulina in fiale) sono distribuite in piccole quantità e frequentemente, in parte perché non è facile comprare tutta la quantità necessaria ai malati di cui ci si prende cura, in parte perché è anche più facile aiutare a controllare la malattia un passo alla volta, fatto insieme.

Come in ogni parte del mondo, ci sono malati precisi e srupolosi, malati più superficiali, persone serene e persone che si preoccupano, malati che proprio non ce la fanno ad avere un buon compenso e a volte un po’ anche mentono – sapendo di mentire – soprattutto sull’alimentazione (essenzialmente per tradizione a base di riso, banane, patate e pesce fritto, per accompagnata da bibite gassate e caramelle). E poi ci sono i pescatori, che stanno in mare almeno una ventina di giorni al mese, e allora la gestione quotidiana del diabete cambia radicalmente.

La prima volta che ho avuto a che fare con il diabete in Ecuador è stato una decina di anni fa, quando mi sono ritrovata a fare ginnastica con le signore diabetiche un paio di giorni la settimana sulla spiaggia di San Mateo, non molto distante da qui verso Manta. Anche a San Mateo, paese di circa 5 mila abitanti, grazie al lavoro costante di Maria, l’OMG si prende cura di circa 150 diabetici.

La seconda volta che mi sono trovata di fronte a persone diabetiche qui, un paio d’anni fa, ho provato un grosso dispiacere nel vedere quanto poca attenzione nel seguire la terapia e una buona alimentazione.

Questa volta, mi rendo conto di quanto sia ingiustamente e concretamente differente la situazione di una persona con il diabete a seconda del luogo e delle condizioni di ricchezza e povertà in cui nasce.

E allora capita che il sensore per monitoraggio flash che hai nel braccio diventa oggetto di curiosità e desiderio delle signore diabetiche in attesa per la visita ginecologica… ed è comprensibile, anche se di fatto il trattamento del tuo DT1 e quello del loro DT2 hanno molte diversità. Alcuni visi di queste signore mi sembrano familiari ma evito di chiedere perché non ho molta voglia di espormi personalmente.

Ricordo quanto sia stato difficile cercare di spiegare – e continuo a pensare di non aver convinto nessuna – che no, non è vero che se si usa insulina si diventa ciechi, ma piuttosto se hai iniziato a usare insulina tardi, dopo tanti anni di forte scompenso, ormai le complicanze a danno di occhi, reni, sistema cardiocircolatorio e neurologico possono essere arrivate in fase critica. Il mio stile quotidiano di vita è prevenzione per queste complicanze e se penso al mio futuro desidero un buono stato di salute e la migliore qualità della vita. Mi sembra però che questo approccio non è altrettanto significativo per un diabetico del Manabì.

La prossima volta non so come sarà ma dovrò trovare il modo di mettermi in discussione, faccia a faccia, a disposizione e vicino a queste persone che ho incrociato nella mia vita, che hanno il mio stesso diritto di vivere con dignità e che hanno qualcosa da insegnarmi che ancora non so.

Cosa metti nello zaino

“Saresti più felice senza diabete?” Sbam!

Ogni tanto questa domanda me la faccio; ogni tanto esce fuori dalla mia testa anche se non ci penso.

Normalmente quando i giochi diventano impegnativi; un paio di volte in quel momento in cui mi sembrava di esplodere di felicità e ho pensato ‘ma cosa voglio di più?!’; qualche – rara – volta nella normalità, magari quando cerco di soluzionare una questione problematica e mi chiedo come sarebbe la mia vita con un pancreas funzionante.

Il mio corpo sarebbe meno fragile certo, ma non automaticamente la mia vita più felice. Dipende, secondo me, da cosa metti nello zaino.

Sicuramente una malattia subdola e metabolica come il diabete di tipo 1, soprattutto nei momenti di disequilibrio, è un peso in più nello zaino. A volte puoi dare la colpa della tua fatica nel camminare al peso della malattia, ma probabilmente ti lamenteresti di qualcos’altro, perché qualcosa di pesante finiamo sempre per sentircelo sulle spalle.

Conoscere quello che hai nello zaino e sapere, sulle tue spalle, che si fa fatica a camminare con del peso, può aiutarti a lasciare andare le cose inutili e camminare con uno zaino più leggero. Dipende da quello che decidi di tenere e di lasciare.

Il punto è che tutti abbiamo delle cose nello zaino. Io che ho il diabete ne ho una diversa dagli altri.

A Recanati, ho sentito il Tasso dire (non Torquato, ma da Parma) che “è facile camminare in salita con la salute ok, magri e con belle ragazze a fianco; la vera sfida è affrontare ogni salita come si è”. Magari lui aveva detto un po’ diverso, ma in fondo, secondo me, aveva ragione.

Pensando al mio zaino, quando riesco a non farmi distrarre dal peso e a fare attenzione a quello che ho intorno… beh il più delle volte mi accorgo che sto ridendo. E che c’è dello spazio per ciò che riempie il cuore di felicità.

Viaggiare lento

Sono curiosa, amo viaggiare e mi piace assaggiare i sapori della cucina dei posti in cui sono. Il diabete non limita nessuna di queste cose. Mi piace viaggiare lento, conoscere i posti dove sei di passaggio, respirare la vita di quella terra, parlare con la gente, chiedere consigli, per poi decidere di seguirli o di fare diversamente.

Alla fermata dell’autobus fuori dalla stazione dei treni, aspettiamo il 16 che ci porterà in aeroporto. Un anziano mi sgrida perché sono in piedi con lo zaino tra i piedi “siediti” “grazie, sto volentieri in piedi” “siediti! Ti stai per sedere sul tuo zaino, e qui c’è posto”. Ok. Allora mi siedo, e ripenso a queste giornate alla scoperta di Matera e i suoi Sassi (grazie anche alle perle degli itinerari proposti da Sergio Fadini “A Matera si va, si torna, si resta” & della stessa collana “Fuori traccia. Insoliti itinerari materani”), Bari vecchia, Giovinazzo e la processione a mare di San Francesco, Trani, il mare meraviglioso con qualsiasi luce ci sia ad illuminarlo ed il maestrale. Penso a queste immagini, suoni e odori.

Sassi di Matera. Il silenzio in qualsiasi ora del giorno e i colori che cambiano rispecchiando la luce del cielo.

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Bari. Il vociare e il profumo della griglia nei vicoli della città vecchia.

Penso ai sapori della cucina materana e dei borghi della costa barese. Conteggio carboidrati e puoi organizzarti i pasti della giornata in base a cosa offre il territorio (e a quanto ai scarpinato su e giù per i vicoli dei Sassi), 5 bustine di zucchero in tasca e puoi gestire il calo di zuccheri finchè non trovi qualcosa che ispira la scelta (o finchè non trovi la caletta giusta per tuffarti e nuotare fino a quando ogni muscolo del tuo corpo si è rasserenato), astucci frio (www.friouk.com) e porti l’insulina alla temperatura giusta ovunque con te e per “ricaricarli” basta acqua corrente del rubinetto.

Penso alle persone incontrate. Dal ragazzo che fa il simpatico mentre sto scegliendo con estrema lentezza un paio di orecchini, alle due signore ultrasettantenni di Giovinazzo, che mi spiegano, e io faccio finta di capire, dove trovare da mangiare. La novità di questo viaggio è il sensore nel braccio, che richiama la curiosità di alcuni. Brunella mi aveva colpito subito, per il suo modo accogliente di conversare, la sua risata contagiosa e il viso sorridente. È a tavola, nella fresca serata materana, che giochiamo a carte scoperte: la cena con la sua strepitosa mamma e le amiche diventa anche momento per raccontarci le nostre storie. E renderci conto di quanto c’è di simile nelle nostre vite: insuline diverse, modi di usare la penna diversi, autocontrollo gestito in modo diverso, carnagione e fisonomia diverse, ma una vita con il diabete di tipo 1, che in certe cose è proprio la stessa! Ad un certo punto mi dice che adesso è contenta, anche con il diabete. E io capisco cosa intende dire, perciò sorrido, annuendo con un lieve cenno della testa.

Giovinazzo. Il mare, il maestrale e spettacolo al tramonto.

Trani. Il bianco della pietra e il blu intenso del cielo.

Altra regione, un piccolo borgo medioevale sulla costa adriatica, ora di pranzo. Un posticino in angolo alla grande, assolata e deserta piazza principale, così diversa dalla sera prima quando c’era la festa del santo dell’8 luglio. Con Paola ci divertiamo a cogliere frammenti di discorsi dagli altri tavoli, tra una nostra chiacchiera e l’altra, finché non rimaniamo solo noi. La giovane e simpatica cameriera, Annalisa, si avvicina in po’ in imbarazzo “Scusi signora, anche lei è diabetica? Ho visto che ha nel braccio… me lo hanno consigliato in tanti (il sensore per il monitoraggio flash) ma io non so se voglio usarlo”. Scambiamo due chiacchiere, alcune informazioni tecniche e alcune suggestioni personali. Andando via, il viso illuminato e contento di Annalisa, mi convince ancora una volta che questo bottone nel braccio, sì mi espone alla curiosità (e ai giudizi) degli altri, ma permette di farmi notare anche da chi ha voglia di ascoltare e raccontare granelli di vita simili ai miei. Per me sono incontri preziosi, che diventano ancora piu importanti nei momenti difficili, quando per esempio le glicemie sballate, la poca voglia di star dietro a tutto, la frenesia del tran tran quotidiano diventano faticose. Incontri che sono un valore aggiunto al viaggiare lento.