Mi accorgo che mi è scappata l’ora. Ormai è troppo tardi per il treno che avevo intenzione di prendere.
Prendo un bus semivuoto. Riesco a non toccare niente. Mi metto vicino alla porta, dove stranamente non c’è proprio nessuno.
Suona il microinfusore. Devo calibrare. Mi è scappata l’ora (anche) per questo. Mi disinfetto le mani. Mi misuro la glicemia. 102 mg/dL.
La prossima è la mia fermata. Sale un tizio ultra settantenne al telefono con auricolare. Mascherina beatamente sotto il mento. Due minuti e scendo. Guadagno la porta e mi giro di spalle per non vedere il tizio, perché mi viene il nervoso.
Scendo. Passo svelto e tragitto più breve.
Tutte le porte della stazione sono chiuse, lo sapevo, ma perdo qualche minuto. Ci provo lo stesso.
Treno perso.
Avviso che tardo.
Torno indietro a piedi e vado in libreria, almeno compro il libro che volevo leggere.
Quello che volevo non è disponibile. Lo ordinerò online tornando a casa. Ne trovo altri due, uno da regalare, uno per me. Pago. Mi sistemo. Mi rimane in mano la cerniera del piumino che l’altro giorno si era impigliata nella sciarpa. Chiudo i bottoni ed esco.
Devo sbrigarmi. Non posso perdere (anche) il prossimo treno.
Suona il microinfusore. Glicemia bassa. 65 mg/dL in discesa. Lo sapevo, ma speravo di arrivare in stazione. MicroP mi fa da grillo parlante. Mi disinfetto le mani. Mangio qualcosa che ho in borsa.
Mentre mangio e cammino verso la stazione, abbasso qualche minuto la mascherina. Ho la percezione che mi manchi qualcosa… anche se sono all’aperto, senza gente intorno.
Passo svelto e tragitto più breve.
Salgo sulla carrozza in testa, quella del capotreno e sempre più vuota, al ritorno.
Mangio una bustina di zucchero.
Il treno parte.
Mi concedo qualche attimo di tranquillità con il libro che mi sono appena regalata.
Sono a casa.
Mi lavo le mani. Mi tolgo la mascherina, finalmente.
Glicemia 105 dL/mg. Tra 12 ore la sveglia suona. Bene ma non benissimo.
Per me è ormai tradizione, il 31 dicembre, preparare i biscotti della fortuna, sugarfree ovviamente.
Questa volta ero incerta, almeno per due motivi. 1) il bello dei biscotti della fortuna è condividerli, al di là della bontà dell’impasto, della riuscita dei fagottini e dei cartigli nascosti dentro; 2) quando ci si improvvisa un po’ pasticcera un po’ cartigliatrice… la selezione dei messaggi è influenzata dall’ispirazione del momento, dai sentimenti e dalle situazioni che vivo.
Ho optato per continuare la tradizione.
La difficoltà è stata la ricerca di cartigli adatti alla delicatezza di questo capodanno, un giusto mix tra leggerezza, ironia e veridicità.
Due frasi mi hanno messo in discussione…
La vita è 10% ciò che ti accade e 90% come reagisci.
Il mondo sarà di chi saprà offrirgli la speranza più grande.
Indagare sul significato che queste parole avevano per chi le ha scritte non è lo scopo di queste righe, vorrei invece metterle in relazione a cosa è successo il giorno dopo averle trovate.
Apprendo della scomparsa, a seguito di infezione da Covid, di un uomo, persona conosciuta in città in ambito medico e universitario. Il ricordo che ho io però è legato ad alcuni racconti della mia famiglia e a qualche episodio che non riguarda la professione e la visibilità pubblica ma che dà testimonianza di scelte personali, volte al bene di quel pezzettino di mondo in cui viveva, facendosi spesso carico, in modo silenzioso e generoso, delle necessità di quanti aveva intorno.
Capita anche che, tra un augurio e l’altro, si parli della situazione Covid. Sarebbe sbagliato fare finta che questo sia un capodanno come gli altri salutati finora, eppure al tempo stesso nel suo senso più profondo (il pensiero alle cose vissute quest’anno e a quelle che verranno, l’affetto scambiato negli auguri e la bellezza di sentirmi amata) trovo più similitudini che differenze.
A causa del Covid, tuttavia, mi capitano spesso occasioni di confronto su quali comportamenti e scelte siano di buon senso e responsabili verso il bene di tutti, soprattutto dei più fragili. E in una situazione di emergenza sanitaria, la fragilità quasi mai è questione di colpa, se non a volte forse quella di scontrarsi in modo impari con l’irresponsabilità di qualcun altro.
Penso che, purtroppo, ancora tante persone vivono ignorando (per inconsapevolezza o per scelta!) la vita degli altri. Altri che hanno lo stesso diritto all’esistenza e alla felicità, ma che, purtroppo, hanno anche a che fare con fragilità o rischi più grandi. Ne sono dispiaciuta, anzi spesso questa cosa mi fa proprio incacchiare.
Poi scopro ogni tanto persone che, nel proprio tempo libero, si fanno in quattro per far girare le cose (se non al meglio almeno che girino) e perché le occasioni non vadano sprecate. Mi metto in discussione perché (scopro poi indagando meglio) il tempo libero disponibile dipende in realtà dall’atteggiamento verso le cose della vita e le situazioni che si incontrano nella propria. Quello disponibile quindi è anche il tempo oltre le 22, nell’isolamento delle proprie case, quando la stanchezza fa quasi chiudere gli occhi e dire una parola per un’altra, ma nel giro di un paio d’ore vengono contattate una trentina di persone e una ventina di queste risponde tempestivamente, nonostante l’ora.
E dunque anche quello che posso fare io, nel mio piccolo e insieme ad altri, acquista un nuovo significato. Il rischio è che alla fine si possa svelare un fallimento o un errore ma, in ogni caso, non sarà stata un’occasione sprecata!
Per esperienza personale, quando le cose sono ispirate da motivazioni profonde e orientate al bene, quando le occasioni non sono sprecate… portano sempre qualcosa di buono! Anche mentre si cerca di gestire, tra alti e bassi, il proprio DT1, a suon di bip-bip di microP, conta dei carboidrati, anche mentre si lotta contro la pigrizia nei giorni piovosi di un inverno rosso da dpcm, anche mentre si aspetta il proprio turno per il vaccino.
Quella cosa buona arriva quando meno la si aspetta, arriva a volte a favore di qualcuno che non sappiamo nemmeno chi sia. Arriva a volte proprio a noi, forse diversa da quella che aspettavamo, ma proprio quella che in fondo speravamo, forse senza sapere chi sia stato a farla partire.
1. Avere un microinfusore é un po’ come avere uno dei primi lettori mp3 sempre in tasca e una specie di sottile cordone ombelicale vicino all’ombelico.
2. Il gonnellino di Eta Beta probabilmente sarebbe la Pmigliore Psistemazione per microP. (Sarà un caso che le cellule che producono l’ormone insulina… sono le cellule Beta delle cosiddette isole Langerhans del pancreas?!)
(Rielaborazione EmmePi, immagine dal web)
3. microP (Minimed 670G Medtronic) ogni 15 minuti ricalcola la quantità precisa di insulina che ti serve sulla base degli andamenti delle ultime settimane.
4. Per fare quello di cui al punto 3, microP riceve info sul livello di glucosio (glicemia) da un sensore e ricalcola l’esatta quantità di insulina per tendere, nel giro di un’ora, al (tuo) livello ottimale.
5. Avere un sensore è un po’ come avere una micro astronave Lego sull’addome, sui fianchi o sugli alti glutei (con un aghetto sottocute). Devi staccare, ricaricare il trasmettitore e riapplicare un nuovo sensore ogni una/due settimane, ma a volte ahimè si potrebbe staccare prima.
6. Quando mangi o bevi qualcosa, devi avvisare microP su quanti grammi carboidrati stai mangiando o bevendo. Altrimenti lo mandi in confusione.
7. Se indossi un vestitino, calibrare e fare un bolo richiede doti da trasformista. Oppure potresti restare in mutande in luoghi non desiderabili.
(Foto EmmePi, Matera)
8. Se devi calibrare, microP suona. Se la glicemia scende rapidamente, suona. Se si avvicina troppo al limite inferiore (ipoglicemia), suona. Se sale rapidamente, suona. Se si avvicina troppo al limite superiore (iperglicemia), suona. Dopo un’ora dal bolo, microP suona e ti ricorda di controllare la glicemia. Se ci sono dei cambiamenti strani nella glicemia, suona. Se devi quasi cambiare le batterie, suona. Se devi cambiare ora le batterie, suona. Se devi cambiare set di infusione (quella specie di sottile cordone ombelicale di cui al punto 1), suona (ogni tre/quattro giorni, di solito). Se ti mancano poche unità di insulina, suona (ogni tre/quattro giorni, non necessariamente in contemporanea al set di infusione). Se il sensore deve essere sostituito, suona. Se il segnale del sensore si è perso, suona. Se il sensore ha qualcosa che non va, suona. Se il sensore si stacca, suona. Quando ti arrabbi, microP suona. Quando piangi, microP suona. Quando ti togli microP e lo lasci appoggiato da qualche parte… dopo un po’ ti cerca… e suona.
9. Però, con microP puoi raggiungere in tre mesi un time-in-range del 79% senza cambiare (apparentemente) nulla rispetto a quando facevi multiniettiva con le penne. Significa che 19 ore al giorno, le glicemie sono buone, anche mentre dormi.
10. microP ti cambia la vita non tanto perché non pensi più di avere il diabete…. anzi non c’è, quasi, momento in cui tu possa scordarti di averlo! Però, microP è un sistema in grado di elaborare in continuo la tua glicemia (senza, quasi, che tu te ne accorga), proporti quantità di insulina più precise per te (senza che tu te ne accorga, per lo più) e, cosa più importante, aiutarti a mantenere le glicemie perfette per la maggior parte del tempo.
Glicemie perfette, per una persona con diabete vuol dire, dal punto di vista fisiologico del funzionamento del proprio organismo, come se non avesse il diabete. In definitiva, una vita con le stesse aspettative e opportunità di una persona sana… per la maggior parte del tempo. Quello che basta per una vita realizzata, piena e felice.