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di microP e i suoi accessori

Quando una mattina di fine giugno (30*C già prima delle 9) i colleghi ti vedono arrivare con una shopper 50x40x20cm piena compatta e fino all’orlo:

“Cosa hai P. in quel borsone?!”

La prima cosa che ti viene in mente è probabilmente la più corretta:

“Pezzi di ricambio per il mio pancreas, per i prossimi 4 mesi. Oggi ho fatto spesa”

(c)emmepi

✅ 4 conf. x 10 pezzi di “Reservoir” (serbatoio per l’insulina del microP) – da cambiare e riempire con insulina fresca da frigo ogni 3-4 giorni, salvo imprevisti

✅ 4 conf. x 10 pezzi di “Set di infusione” (catetere da 60 cm + canula da 6 mm da applicare sottocute) – da cambiare con il serbatoio, salvo imprevisti

✅ 5 conf. x 5 pezzi di “Sensore” (parte del sistema di monitoraggio in continuo della glicemia che dialoga con il microP) – da cambiare ogni 7 giorni, salvo imprevisti… nel mio caso purtroppo al massimo 4 giorni!

Mentre rispondo ometto quello che il mio cervello sta già elaborando: 5×5=25

25 settimane intere si arriva al 14 dicembre

Il prossimo appuntamento per ritirare il materiale mi è stato dato tra 6 mesi, il 24 dicembre.

Realmente, salvo imprevisti, questi sensori mi coprono fino al 14 settembre.

È quasi un paio d’anni che contatto tutti i mesi l’assistenza tecnica della ditta per la sostituzione e/o l’invio di sensori aggiuntivi, per effettuare prove tecniche in remoto per individuare eventuali malfunzionamenti (a quanto pare non riscontrati!). Ho anche contattato la mia diabetologia AUSL di riferimento per adeguare la fornitura, poiché la ditta mi ha precisato che l’invio dei sensori è incluso entro un massimale, previsto dal mio piano terapeutico, e pertanto competenza del diabetologo. La diabetologia, pur sempre venendo incontro a situazioni di emergenza, rimanda la competenza alla ditta, che ha l’obbligo di fornirmi la copertura di sensori che non rispettano le specifiche techiche di funzionamento (7 giorni senza interruzioni)…

Il risultato è che, ogni mese, un sensore alla volta, richiedo alla ditta la sostituzione e l’invio del sensore, specificando motivo, giorno e orario di “inizio e fine del sensore” (in slang diabetico si dice cosí). Dovrei, secondo i consigli che ho ricevuto, per stare più tranquilla, procedere ogni volta (4 giorni, e comunque fino a massimale, che non copre la carenza rispetto al conteggio “ideale” previsto dal piano terapeutico)… ma già cosí mi sento come una pallina di un flipper, rimpallata tra ditta e diabetologia, senza via di uscita. Per l’acquisto del sensore, occorre la prescrizione del diabetologo.

Per stare tranquilla davvero, io proporrei a tutti gli addetti ai lavori (personale sanitario, tecnico e amministrativo ) di tutta la filiera dei miei sensori, un periodo di tre mesi con il sensore “indossato” e, forse, il sistema di accesso ai sensori sarebbe diverso. Se non altro, non dovrei ripetere ad ogni conversazione o telefonata che non si tratta di un reso di scarpe di cui ho sbagliato per distrazione ad ordinare il numero, e forse nessuno metterebbe in discussione la mia scrupolosa attenzione e cura a non “sprecare” neppure un’ora dei preziosissimi sensori.

Cosa hai lì nel braccio?!

Estate. Inizia la stagione della domanda:

Cosa hai lì nel braccio?!

Alcune (solo alcune in effetti) delle risposte che mi vengono in mente…

a) un microchip perché ogni tanto mi perdo e così mi ritrovano facilmente
b) un bottone per spegnermi quando parlo troppo (ah no, questo non esiste ancora!)
c) una mini-cassa bluetooth
d) un bottone che se lo apro ti sgonfio?! (migliore risposta di sempre, della mia amica Vale, maestra di sarcasmo)

Da alcuni anni esistono piccoli device, i cosiddetti ‘sensori glicemici’, che permettono il monitoraggio in continuo del glucosio (continuous glucose monitoring, CGM). Sono grandi poco più di una moneta e leggermente più spessi, si fissano alla cute con un adesivo e, attraverso una cannulina che va sottocute, consentono di rilevare continuamente il livello del glucosio nel liquido interstiziale, fornendo centinaia di valori al giorno.

Attualmente ci sono due tipi di sistemi: i CGM in tempo reale (real-time CGM, rtCGM) e i CGM a rilevazione intermittente (intermittently viewed CGM, iCGM), detti anche sensori glicemici flash del glucosio (flash glucose monitoring, FGM).

La forma, il funzionamento, la “durata” ecc dipendono dalla tecnologia e dalla marca, cioè dal knowhow del produttore. Per una persona con il diabete, la scelta dipende in primis da quello che “passa” l’AUSL.

Il “mio” sensore è quella specie di conchiglietta di Santiago di Compostela, che può stare sul braccio, sull’addome, sulle gambe ecc… che “dura” una settimana (a me in realtà solo 5 giorni), che “parla” con microP (quello sempre ben nascosto sotto la maglietta e collegato tramite un catetere alla pancia) e lo “aggiorna” sui livelli di zucchero nel sangue così che il microP possa modulare nel tempo l’insulina da iniettare… ma questo è un altro capitolo della storia.

Secondo me, per le persone con il diabete di tipo1 è fondamentale gestire la malattia con il monitoraggio in continuo della glicemia, guardando agli “andamenti” oltre che ai valori istantanei, e cioè utilizzando con sensore. Che poi la misura della glicemia non sparisce del tutto, anche i sistemi più sofisticati hanno bidogun diritto averlo a disposizione come facente parte della terapia, un dovere utilizzarlo al meglio come strumento per gestire la malattia!

E mentre nel mondo – ed in Italia anche in certe situazioni – è un “privilegio” solo di alcune persone, mi capita che sportivi amatoriali mi chiedano info per acquistare il sensore libre per migliorare le loro performance dopo averne visto la pubblicità. Costo circa 60€ l’uno, durata 14 giorni.

Il diabete, l’accesso alle cure, la tecnologia, le contraddizioni!

18 anni di DT1

Giorni un po’ strani questi, tempestivi, intensi, da rimboccarsi le maniche, da affidarsi, ringraziare per le belle persone che ci sono attorno, che si incontrano, che si costruisce insieme, almeno ci si prova.

E il teatro, e la musica, immagini e parole nelle loro sempre nuove forme che ancora una volta stuzzicano alla bellezza, alla vita, alla condivisione, a non dare per scontato le cose, le situazioni, le persone nella loro interezza e ricchezza, nelle tante sfaccettature, ombre e luci, sorrisi e lacrime.

18 anni fa, oggi, per me la diagnosi del diabete di tipo 1, malattia cronica, autoimmune, che non ci si va a cercare, e che non hai fatto niente di sbagliato perché arrivasse proprio a te, a ribaltarti come un calzino.

La fortuna, nella sfiga, è che ci sono delle terapie che permettono una buona qualità della vita. Quando hai la fortuna di abitare nella parte di mondo dove si ha accesso alle cure, ai farmaci salvavita e ai dispositivi medici. Quando hai la fortuna di non essere da sola.

Stanotte mi ha svegliata il pigolare del microP (microinfusore, microP come dico io). Un attimo prima di riaddormentarmi penso a questo mio 26 maggio. Non festeggio questo giorno, ne tengo conto.

“Ogni nuovo inizio proviene dalla fine di un altro inizio”

Lucio Anneo Senec

Ogni giorno scelgo di fare del mio meglio per convivere con la malattia. A volte è automatico, alcuni momenti pesante, altri è più facile. Mai senza, sempre in equilibrio, fragile ed instancabile, dinamico e tenace.

A 18 anni, quando prendi la patente, hai ancora molto da imparare alla guida. E oggi mi chiedo: a che punto sono nel mio percorso di crescita con il DT1? Forse, un nuovo passo di consapevolezza.

Che non toglie le fatiche, la ricerca di significato della malattia nella mia storia, il desiderio grande di una cura definitiva per questa subdola e complessa patologia.

Che non toglie l’impegno a starci dietro a tutte le cose metaboliche, annesse e connesse. Che non toglie tuttavia la gratitudine a starci dentro a questa vita che ho, la mia, così come è.

Non so se si possa pensare alla maturità rispetto una malattia cronica come il quotidiano farci pace… se penso alla mia vita con il DT1, oggi per me il primo passo nell’adultità: ogni giorno provare a farci pace in modo concreto e creativo.

Ad esempio oggi

Ci sono giorni che il dt1 entra prepotente nella tua vita. Ad esempio oggi.

Il microP mi sveglia 15 min prima della sveglia ufficiale perché il sensore ha bisogno di una calibrazione. E quando misuro la glicemia dalla goccina di sangue dal dito, è quasi 200 mg/dL più alta di quello che dovrebbe, in parte anche a causa del piccolo intervento dal dentista di ieri sera e dalla super dose di anestesia necessaria. (Per una persona con il diabete come me il target ottimale è 110-130 mg/dL, ed il range entro cui è desiderabile che oscillino le glicemie 70-170 mg/dL, il così detto time-in-range… sopra o sotto questi valori, ed in altre situazioni, bisogna intervenire… e microP “suona”).

Poi con calma mentre il treno mi porta a lavorare, rielaboro i dati per capire come gestire la giornata, che già si presenta un po’ in salita, con un time-in-range nelle ultime 24H del 10%. Avrei voluto fare altro e invece…

Mi concedo un po’ di quella leggerezza mattutina da pendolare dando un’occhiata ai social e trovo le immagini di Lila Moss, con il suo nude look, sensore e microinfusore. Allora rido!

Tutto ok fino a pranzo, quando il sensore segna glicemia bassa (e suona e vibra e lo ripete ogni tre per due). In realtà la glicemia è alta, troppo alta. Allora serve un rapido calcolo di tempistiche: caricamento del trasmettitore (una mezzoretta), nel frattempo cambio del sensore, collegamento del trasmettitore al sensore e avvio del sensore, tempo di attesa (un paio d’ore). La valutazione successiva è quando avviare il sensore in modo tale che la prima calibrazione, al termine del periodo di attesa, avvenga in un momento in cui non ci sia più insulina attiva (quella del bolo del pranzo) e non ci siano variazioni significative di glicemie (quelle della curva gliecemica del pranzo).

Il periodo di attesa finisce mentre sono in bici verso la stazione per il treno del ritorno… deja-vu!

Allora mi viene in mente un’altra bizzarra coincidenza… esattamente un anno fa, in questo momento della giornata iniziava la mia nuova gestione terapeutica in modalità SmartGuard. Allora sorrido!

Emozioni e consapevolezza. Quanto il dt1, malattia subdola e invisibile, inquina la mia vita e l’armonia della mia persona?! Quanto il dt1, malattia autoimmune e metabolica, condiziona la mia vita e la mia storia?! Quanto il dt1, malattia cronica e da gestire quotidianamente, invade la mia vita e le mie relazioni più intime?! Workinprogress…

Accompagno delicatamente questi pensieri e queste fatiche fuori dalla mia mente. Mi concentro sull’ascolto della musica in cuffia. Respiro. Guardo fuori. La vita è molto di più.

Buon compleanno #microP

Un anno con microP.

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di diabete, di microP e un di me

Le mie amiche avevano consigliato di dargli un nome, al microinfusore…

Avevo spiegato loro il microinfusore come un aggeggio tecnologico dall’aspetto di un lettore mp3 (un po’ vintage a dir la verità) e con le prestazioni algoritmiche di una Ferrari (con i suoi 7 algoritmi che rielaborano le informazioni del monitoraggio glicemico, lo storico dati mediante elaborazione statistica e la risposta insulinica con calcoli predittivi… così da determinare la quantità di insulina da iniettare, ogni 5 minuti, per raggiungere l’obiettivo glicemico target nell’ora successiva). Loro, preoccupate della mia sbadataggine con smartphone e tendenza a lasciare cose sparse in giro per il mondo, suggerivano di dargli un nome… e di prendermi cura di lui.

La cosa non mi convinceva perché nel frattempo, nei quindici e più anni dall’esordio della malattia, avevo maturato la convinzione che il diabete, proprio perché malattia, come tale va trattata: deve essere gestita e trattata in modo oggettivo. Per me vale così. Ci sono stati momenti in cui il diabete quasi mi sembrava fosse un’altra persona nella mia vita, da tanto era ingombrante la sua presenza e subdoli i condizionamenti psicologici. Da lì la mia ferma convinzione che non avrei mai dato un nome al microinfusore.

D’altra parte, chi mi conosce sa, il mio modo di gestire il diabete è abbastanza trasparente: dico tranquillamente “ho le glice sballate”, “mangio qualcosa che sono in ipo”, “vado a punturarmi e torno”. Ho sempre pensato che queste sono azioni che devo decidere e fare dall’esterno perché il mio pancreas è un po’ stronzetto, oltre che difettoso. Per me quindi spontaneo dire microP per riferirmi al mio pancreas artificiale, ed in realtà a tutto il sistema complesso di gestione che ci sta dietro anche se non si vede. micro è diminutivo di microinfusore ma anche sinonimo di piccolo, invisibile, ed ancora più significativo nella mentalità scientifica di chi è abituato a lavorare con ordini di grandezza del molto piccolo. P è l’iniziale di pancreas.

Oggi che ripenso a questo anno con microP, faccio un bilancio del percorso fatto, di come ero e di come sono diventata, di come sia cambiata la gestione della malattia per me. Mi vengono in mente tre considerazioni…

1) La maggior parte delle persone che conosco hanno un pancreas che le sgrava da star dietro a tante cose metaboliche, senza neanche che loro se ne accorgano… Questa idea mi ha aiutato ad affrontare certe spiacevoli situazioni in cui mi sono sentita discriminata, osservata speciale o giudicata a causa della mia malattia. Definire gli “spazi” della malattia però è necessario per non identificarsi con la malattia stessa, rischio che ogni tanto torna più rumoroso, soprattutto quando le cose non vanno molto bene.

2) MicroP è collegato alla mia pancia mediante un catetere, che sostituisco ogni quattro giorni circa, e quindi è per me un accessorio che va sempre indossato, però è un po’ più invasivo e personale di un paio di occhiali. Questa “personalizzazione”, a pensarci bene, è rappresentata dal fatto che le iniziali del mio nome sono EmmePi… le stesse di microP!

3) Quando ho iniziato con dolcementetipo1.com mi ero divertita creando una word cloud che rappresentasse il mio punto di partenza, la mia necessità di verbalizzare e prendere coscienza del groviglio di concetti, emozioni e domande che mi portavo dentro, il desiderio di condivisione di quella esperienza che mi ero trovata nella vita senza averla voluta: l’esperienza di una malattia cronica.

Cerco quella vecchia word cloud per confrontare idee vecchie e nuove, e mi accorgo che la silhouette tratteggiata qualche anno fa è la stessa della foto scelta nell’ultimo articolo scritto sul blog, quella che al momento rappresenta bene come mi sento, con un buon equilibrio glicemico. E allora sorrido e respiro profondo divertita perché la vita sa davvero essere ironica con me. Anche se ho il diabete.

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Dieci cose che il dt1 mi ha insegnato

/decompressione/

Corridoio di attesa di un ambulatorio specialistico del servizio sanitario regionale.

Gli ultimi mesi un buon equilibrio glicemico. Le ultime settimane un bel casino di gestione di microP. Telefonate in assistenza, corrieri con pezzi di ricambio, tentativi vani di scarico dati.

Mi siedo in fondo, lontano da tutti, vicino alla porta un po’ aperta dove passa aria fresca. Aspetto. Penso alle persone incontrante in Ecuador negli anni… al tríage, alle misure delle glicemie, con il dermatologo, il ginecologo, la pediatra… mi lascio ispirare dal loro atteggiamento tranquillo di attesa. Cerco di pensare a cosa è importante per me in questo momento, dal punto di vista glicemico.

Fondamentale poter scaricare i dati. Riprovo ancora una volta, con il medico, anche se ogni messaggio su pc e su microP sembra dire che non sia possibile. Poi “ultimo scarico dati 25/11/2021 10.44 am”. Mi sembra incredibile, dopo tutti i tentativi andati male, verifico che la sincronizzazione con la app è avvenuta mentre ero in corridoio ad aspettare!

Il resto è tutto in discesa, tutto da fare, un po’ per volta. La direzione è quella giusta, qualche aggiustatina alla terapia, qualche scrupoloso promemoria per il prossimo controllo. Lentamente, con pazienza, senza stancarsi di prendersi cura.

Un rapido scambio di battute su progetti che devono partire – è tempo di partire – con ADFe… non è questo il tavolo di lavoro, ma è sulla base dell’esperienza personale che ci si prende a cuore i progetti.

Nel frattempo ha finito anche il tizio che era prima di me al triage. Un personaggio spettacolare, un po’ scalcagnato, fuori dal tempo e anche un po’ fuori dal contesto, gentile e sparso. Mi sembra un fumetto prestato al mondo reale.

Ne approfitto per fare due chiacchiere con lui, mi fa tenerezza. Nella sua stravaganza mi sembra essere consapevole della malattia, più o meno. E lui, nelle sue frasi un po’ sconnesse, si preoccupa di me, che sono giovane, e lui ormai è vecchio. Mi ricorda quanto sia importante sentirsi compresi e accolti, nelle situazioni della nostra vita.

“Arrivederci. Stia bene!” gli dico.
“Grazie signorina. Anche lei mi raccomando!”

Vita da pendolare con microP: la (mia) vita con il DT1

Tipico pomeriggio autunnale al lavoro.

MicroP avvisa glicemia 66 mg/dL (sensore GL3, di tipo CGM, ndr). Non ci credo… sarà ora di cambiare il sensore…

Glicemia (capillare) 203 mg/dL. “Cambiare sensore”. Ecco appunto…

Rapida sequenza di operazioni:

1. Faccio un bolo correttivo (nel mio caso, in questo caso, 1,7 U). In pratica, dico a microP di fare una iniezione “extra” di insulina, per “correggere” il valore di glicemia.

2. Metto il trasmettitore (la “chiocciola bianca”) in carica… la base è sempre con me in borsa, insieme al Labello e a due pile di scorta, una per la base, l’altra per il microinfusore.

3. Cambio il sensore (l’ago sottocutaneo, di cui si vede la parte esterna grigia). Fissando il tutto con il cerotto, perché il sensore deve stare lì (sulla pancia ad esempio) una settimana. Al lavoro, ho una scorta di tutto, compresa una fiala di insulina… non puoi permetterti di farti trovare impreparata quando lavori a 50 km da casa.

4. Collego il trasmettitore al microinfusore. Concretamente attacco la chiocciolina al sensore. Poi verifico la corretta “associazione” del dispositivo (sensore) al microinfusore. Inizia il “periodo di attesa” di 2 ore.

Esco da lavoro e sono in bici verso la stazione per prendere il treno… dovrò calibrare… metto MicroP in tasca. Ad un incrocio, microP vibra, poi suona. Ecco appunto… “Calibrazione necessaria”.

Glicemia (capillare) 213 mg/dL. Calibrazione. Modalità automatica. “Glicemia alta”. Correzione auto (nel mio caso, in questo caso, 1,7 U).

Arrivo in stazione. Ho perso il treno, prenderò quello dopo.

Se tutto va bene, e le glicemie sono stabili, tra 6 ore… altra calibrazione. Poi, se tutto va bene e le glicemie sono stabili, la prossima calibrazione dopo altre 12 ore.

SmartGuard mode ON

Oggi, 05.05, alle ore 05.05 pm…

A 16 anni da quel esordio di dt1
Ad 1 anno dal cambio di terapia

Ho attivato la modalità SmartGuard del mio nuovo microinfusore Minimed 780.

Emozione e consapevolezza.

Inizia una nuova fase, di cui ho già avuto la fortuna di assaporare i miglioramenti nella qualità di compenso glicemico, di salute, di vita.

In pratica, il mio MicroP funziona così:

Nel braccio ho un sensore, che misura in continuo la concentrazione di zucchero nel liquido interstiziale, e che dà quindi un’info piuttosto attendibile della glicemia (concentrazione di zucchero nel sangue).

Il sensore, grazie ad una “chiocciolina” (trasmettitore) parla con il microinfusore, che tengo in tasca di solito. Il micro “ascolta” il sensore e “decide” quanta insulina iniettare perché le mie glicemie siano in-range nell’ora successiva.

Come fa MicroP a “decidere” quanta insulina fare? Utilizza 7 algoritmi per rielaborare i dati che il sensore registra, lo storico degli andamenti glicemici degli ultimi giorni, ecc… e quindi sulla base del mio effettivo fabbisogno insulinico, MicroP inietta i microBoli (piccole quantità di insulina).

Come fa MicroP a iniettare l’insulina? Ha un piccolo sistema di pompaggio con un serbatoio (grande come una pila AA) con l’insulina, a cui è collegato un catetere, che termina con una cannula (una specie di aghetto inserito sottocute).

E tu cosa devi fare? Prendermi cura di MicroP… verificare le misure del sensore, calibrare il sensore, con misure di glicemia capillare (dalla goccia di sangue nel polpastrello del dito), sostituirlo quando necessario (circa ogni settimana)… cambiare le batterie, caricare il trasmettitore (circa ogni settimana)… controllare set di iniezione, cambiare il set e riempire il serbatoio (ogni tre/quattro giorni)… inserire la quantità di grammi carboidrati OGNI VOLTA che mangio/bevo qualcosa… controllare e intervenire ogni volta che MicroP vuole avvisarmi dì qualcosa (suona, vibra o mi scrive sul cellulare)…

Per andare d’accordo bisogna conoscersi, capirsi ed adeguarsi, bisogna essere sul pezzo, capire i dati, gestire la strumentazione. Ma la qualità della vita è tutta guadagnata, secondo me. Per me è così.

A me non interessa per esempio se mentre parlo (strano, non parlo quasi mai!) invece che guardare fb sullo smartphone, io guardo la app di microP e decido se devo intervenire, oppure guardo il suo schermo (che poi mi ricorda tanto uno dei primi mp3 vintage un po’ rotondetti) e magari faccio partire un’iniezione di un bolo correttivo.

Anche con le penne però era simile… a volte capitava che mi facessi una puntura mentre parlavo (strano, non parlo quasi mai!) senza che il mio interlocutore se ne accorgesse (il più delle volte aprendo l’ago con i denti perché le mani mi servivano per spostare i vestiti e fare la puntura).

Poi ci sono le piccole cose di tutti i giorni, che piano piano diventano automatiche e comunque ti rendono un po’ più strampalata del normale, e anche un po’ speciale.

Il catetere mi si aggancia spesso nelle maniglie delle porte e nelle chiavi dei mobili antichi, si arrotola intorno alla vita durante la notte.

Se microP perde il segnale del sensore, probabilmente in quella giornata ho bevuto poco e devo recuperare un po’ di acqua.

Nel dormiveglia, gli avvisi di microP spesso li confondo con la sveglia (e quindi li ignoro… il più delle volte tra l’altro pensando siano la sveglia del inquilino del piano di sotto!).

Senza vestiti, microP deve essere appoggiato da qualche parte oppure sotto il mento… può fare la doccia, ma diventa un po’ invadente. È una di quelle occasioni che… è meglio metterlo da parte! (Rimangono sempre il sensore nel braccio e la cannula nella pancia).

Di MicroP potrei ancora parlare (strano, non parlo quasi mai!) ma la verità è che non posso già più farne a meno!

Condivido una foto sul mio profilo Instagram… e subito mi scrive una persona! Esperienza simile… ed è bello anche non sentirsi soli in questa vita con il dt1! È un po’ l’esperienza di ADFe… potrei parlare anche di questo (strano, non parlo quasi mai!) ma la verità è che non posso già più farne a meno!

di diabete, di microP e di me

Un altro giorno 28, un altro nuovo inizio, un altro passettino avanti, un nuovo microP(ancreas) 780G da indossare…

La sfida è conciliare una vita normale e prendersi cura della mia salute. Per fare questo, per me, gli elementi importanti sono (a fasi alterne semplici o complicati da portare avanti): autocontrollo e terapia, conoscenza di sé, alimentazione e sport. Inoltre, informarsi, confrontarsi con altre persone (con il diabete e/o operatori sanitari), condividere preoccupazioni, sdrammatizzare e divertirsi insieme, dare e ricevere consigli… migliora ancora di più la qualità della vita!

Per gli aspetti più tecnici della terapia, in questi anni ho avuto alcuni cambiamenti decisamente migliorativi. Il mio primo passo avanti è stato introdurre la conta dei carboidrati e gestire le iniezioni di insulina in modo più accurato (e allo stesso tempo essere più consapevole della quantità e del tipo di alimenti). Il secondo è stato iniziare a pensare in time-in-range invece che in glicemie medie, grazie al monitoraggio con i sensori invece che le sole glicemie capillari (anche i polpastrelli ringraziano). Il terzo passo avanti è stata la decisone di lasciare la terapia multiiniettiva (almeno 4 punture con le penne al giorno) per passare al microinfusore (il mio primo il 670G, con modalità smartguard con microboli).

Ogni cosa imparata, ogni piccola conquista, mi ha semplificato un po’ la vita. Ricordarlo ogni tanto, mi aiuta quando le cose non girano bene, quando la fatica ad accettare la malattia si fa sentire, quando le glicemie sono come sulle montagne russe.

L’altro giorno, ho fatto un elenco di 10 cose sul diabete e su di me… è così che oggi inizio questa nuova fase!

  1. Ogni tanto mi piace spostare i mobili in casa.
  2. Ho scoperto di avere il diabete di tipo1 a 21 anni, con una glicata HbA1c di 15,5%.
  3. Porto gli occhiali a seguito di una cataratta metabolica e da allora non ho più giocato a pallavolo. Smettere di giocare è stata una cosa dolorosa, che mi ha fatto sentire smarrita.
  4. Sono laureata in chimica e mi piace stare in laboratorio.
  5. Non mi piacciono i gatti, la forma delle mie gambe, avere il diabete.
  6. Vorrei vedere l’aurora boreale, la Siria, la cura definitiva per il diabete.
  7. Mi piace la gente e anche alzare lo sguardo al Cielo, mi fa sentire voluta bene e grata per la mia vita.
  8. Quando sono in treno, mi capita di pensare a personaggi e situazioni che potrei incontrare in un romanzo. O in una serie netflix.
  9. Mi accorgo spesso di sorridere, ma quando in aereo guardo un film quasi sempre piango.
  10. Mi sono lanciata, insieme ad altri, in questa bella cosa che è ADFe e ne sono contenta!

[700 parole] In un giorno di nebbia

Una donna torna a casa da lavorare.

Due fratellini giocano nel cortile prima che faccia buio.

Un ragazzo sta pensando a quando tornerà tutto come prima, ma non ricorda bene come era prima, per lui.

Una nipote piange il nonno che non ha potuto salutare in quel letto di ospedale.

Una signora di mezza età entra in una chiesa.

Una bambina guarda le scarpe col tacco di sua mamma e pensa che da grande le avrà anche lei così belle.

Un vecchio con il cappello torna da fare la spesa, come ha fatto ieri e come farà domani.

Un commerciante si rende conto che dovrà chiudere la sua attività.

Una studentessa non sa cosa sta studiando a fare, porta fuori il cane e apre Instagram.

Una mamma si chiede cosa preparare per cena, casomai debba comprare qualcosa. Ma vorrebbe essere in vacanza.

Una coppia si ritrova insieme, e non vedevano l’ora.

Un giovane uomo si veste tecnico ed esce di corsa, almeno gli sembra di tornare a respirare.

Un’insegnante pensa alla sua lezione di domani e si chiede cosa può fare per aiutare i suoi alunni.

Un uomo cerca un angolo riparato dove passare la notte.

Una giovane donna è al telefono.

In un giorno di nebbia.

Forse è per questo che mi piace la nebbia.

Oggi, mentre tornavo a casa da lavorare, mi sono trovata a vagare per strade secondarie della pianura, totalmente immersa nella nebbia.

Prima di partire il mio umore era un misto di stanchezza, rabbia, scoraggiamento, a causa delle ultime 24 ore di problematiche con microP e glicemie… un saliscendi di glicemie (glicemie vere e proprie, non valori letti dal sensore, ndr) mg/dL: 294 – 47 – 328 – 160 – 145 – 103. Segnale perso. (Sensore nuovo ieri). Ricerca trasmettitore. Cambiare sensore. Ricollega sensore. Calibrazione necessaria.

Alla guida però mi sono solo concentrata sulla linea bianca sull’asfalto. La musica a farmi compagnia, il navigatore a indicarmi la strada. Strada deserta, senza riferimenti. Ogni tanto qualche auto, per brevi tratti.

E oggi, mentre guidavo nella nebbia, mi sono trovata a pensare che per me avere il diabete è su per giù lo stesso.

Partenza e meta sono le stesse di ogni giorno, ma a volte devo cambiare strada per eventi che non dipendono da me.

Ci sono giorni in cui mi sento persa, mi sembra di vagare, ma sto solo percorrendo una strada diversa, più lunga, che non conosco, ma che va bene.

Ho fiducia che la strada indicata dal navigatore sia giusta, anche quando non la conosco (al massimo ogni tanto controllo), anche quando il tempo di percorrenza aumenta lungo il tragitto.

Le indicazioni che anticipano il percorso rendono più agevole e sicuro seguire la strada giusta, soprattutto in situazioni come nel mezzo di un banco di nebbia, in aperta campagna o vicino a un fiume.

Anche seguire un’altra auto aiuta, cambia il tuo riferimento: due fanali rossi luminosi sono nettamente meglio di un’incerta linea bianca sull’asfalto.

A volte l’auto davanti è la tua, e allora la fatica di riconoscere la strada rimane, tuttavia non ti senti sola. Sai che se ti dovesse capitare un imprevisto c’è lì qualcuno che potrebbe aiutarti.

Quando invece capita di ritrovarsi in coda, si procede più lenti e occorre stare attenti gli uni gli altri. Ma insieme, facendosi luce l’un l’altro, anche la nebbia dà meno fastidio.

Con gli anni sono diventata più esperta, anche nella difficoltà del diabete: situazioni difficili in cui mi sono ritrovata mi hanno reso più autonoma e allo stesso tempo più consapevole dei rischi. Entrambe cose che permettono di gestire il diabete con attenzione e senza agitarsi inutilmente.

Infine, trovarmi insieme ad altri lungo la strada (da cui è nata l’Associazione Diabete Ferrara odv, ndr) mi infonde ancora più fiducia, perché è più facile seguire la strada, le difficoltà ostacolano meno il cammino, le persone intorno mi fanno dire che la strada è quella giusta. Perché mi sento meno sola e non ho più la sensazione di vagare senza sapere dove mi trovo.

Tuttavia, per quanto mi stia abituando a guidare nella nebbia, preferisco guidare senza, il paesaggio della campagna è speciale, ogni volta diverso.

Ed io spero in una cura definitiva del diabete.