“Diabete e benessere” è il tema scelto per il World Diabetes Day 2024.
Il tema può sembrare un ossimoro, può essere scomodo. Non è detto che si abbia voglia e capacità di affrontarlo, questo tema. Se non è scomodo in un qualche modo, probabilmente occorre centrare meglio il tema. Per me è stato così.
Il diabete è una malattia cronica, cioè una condizione anormale dell’organismo causata da alterazioni organiche o funzionali, che persiste nel tempo. In realtà, in medicina cronicità indica qualcosa di più complesso: permanente, inguaribile, incurabile, irreversibile.
Il 26 maggio 2005 è un punto netto, di non ritorno, nella mia storia personale. Da quel giorno io ho il diabete DT1. Glicemia a digiuno 750 mg/dL (valori target 70-180 mg/dL) ed emoglobina glicata HbA1c 15,5% (no, non è un errore di battitura… il diabete è diagnosticato con una glicata di 6,5% (48 mmol/mol) e con 11% c’è il rischio di coma diabetico). Nei successivi 6 mesi, due operazioni di cataratta in anestesia totale a causa della situazione clinica ed emotiva che portavo con me, un periodo di vita sul divano e in bicicletta (dopo 10 minuti che camminavo andavo in ipoglicemia). Che poi, ce l’avevo già il diabete, ma sentire che qualcosa non va, e sapere, dare un nome alla causa di quel malessere e quella sofferenza, cambia la vita. Obbliga ad una trasformazione, che coinvolge tutto. NB per i diabetologi, far sentire colpevole il paziente per non essersene accorto, anche solo per curiosità scientifica, non aiuta.
D’improvviso malattia, salute e benessere cambiano significato… una trasformazione grande. Per me è stato così. Allora non ne avevo piena consapevolezza, era poco più di un’intuizione, a cui non sapevo dare forma e percorso da farsi precisi. Che poi a vent’anni è abbastanza normale come fase della vita, l’incertezza per il futuro. Ma è tutto un po’ più complicato con una malattia cronica che salta fuori in un momento atipico (troppo vecchia per il classico esordio DT1 giovanile, troppo giovane per la diagnosi facile quando ancora della forma adulta LADA si sapeva pochissimo anche tra i diabetogi). E così ci si arrangia come meglio si può… si va per tentativi, ci si prova a fidare del proprio istinto, si cerca di imparare la gestione tecnica della malattia (combinazione di terapia farmacologica, alimentazione e sport), si provano a personalizzare le buone pratiche terapeutiche, si cerca di aggiornarsi sulle nuove possibilità tecnologiche (che rendono un po’ meno invasiva la terapia nella propria vita quotidiana), si impara a sostituire il funzionamento del pancreas con il proprio cervello e apparecchiature esterne inanimate, collegate con aghetti, tubicini e cerotti adesivi al proprio corpo, organismo vivente e difettoso.
A me ci sono voluti circa vent’anni per chiamare le cose con il loro nome, arrivando ad affrontare la questione vitale diabete per me, nel cuore della sua essenza. Un percorso di lotta quotidiana, negazione, dedizione, piccoli traguardi personali, fallimenti, conflitti, studio, allenamento, ansia, impegno emotivo, supporto psicologico, pazienza, tenacia, fiducia, desiderio di qualcosa di meglio, e la vita nella sua completezza.

L’Organizzazione Mondiale della Sanità ha definito nella sua Costituzione, nel 1948, il concetto di salute come “una condizione di completo benessere fisico, mentale e sociale e non esclusivamente l’assenza di malattia o infermità”. Nel 2011, la definizione è stata aggiornata, intendendo la salute come “la capacità di adattamento e di autogestirsi di fronte alle sfide sociali, fisiche ed emotive”.
Una cosa è leggere una definizione di un’agenzia intergovernativa mondiale, altra cosa è capire che ha a che fare anche con te, alla tua esperienza di malattia… la salute intesa come convivenza con la patologia e accettazione dello stato di salute di quel momento che comunque consente la capacità di autogestirsi, quindi di vivere, anche in condizioni di irreversibile perdita di salute.
Dicono gli psicoterapeuti che “il sopraggiungere di una malattia cronica rappresenta un evento né scelto né desiderato, che costituisce un disequilibrio esistenziale, una rottura che introduce l’incertezza. In questo senso il cambiamento è una specie di lutto, ossia la perdita di ciò che è consueto” (Lacroix – Assal, 2005) e che “la malattia cronica mette di fronte alla limitatezza dell’essere umano, il senso che si attribuisce alla vita è messo in discussione. Per accettare la malattia cronica occorre accogliere i propri limiti e andare oltre la domanda perché proprio a me?”
Nel 2009 questa domanda mi accompagnava in un viaggio meraviglioso in Medio Oriente, passando anche nel deserto roccioso della Giudea. Allora non sapevo rispondermi, sapevo che avrei dovuto camminare… e così ho fatto! Quel giorno nel deserto, e negli anni successivi.


Durante questi anni poi ci sono stati altri punti netti, di non ritorno… però salti di qualità!
Nel 2018, inizio ad usare il sensore per monitoraggio continuo della glicemia. Cambio radicale dell’approccio alla gestione metabolica: non più un inseguire valori spot ma seguire andamenti, con aumenti e discese, che sono utili a prevedere necessità di insulina nel breve tempo, e dispersioni, che invece aiutano ad aggiustare eventuali sbalzi dannosi nel lungo termine per i tessuti e gli organi, oltre che per l’umore ed il benessere psicologico.


Nel 2020, di nuovo valori metabolici non buoni, lockdown in casa per tre mesi, da sola con lo spettro dell’esordio del mio diabete, della paura di un ricovero durante la pandemia covid-19, il ricordo di quella brutta sensazione di soffocamento e nausea per mancanza di ossigeno già provata qualche anno prima, alla quinta volta che tornavo sulle Ande a quasi 3000 m, quella volta che ho dovuto respirare con una bombola di ossigeno. In quel momento buio, buissimo della mia storia personale, una scelta importante: ho scelto la mia salute. E qui, con salute intendo il mio benessere, la mia persona nella sua completezza (corpo, mente, anima e relazioni). Allora non capivo la portata di questa scelta, in uno dei momenti peggiori della mia vita, forse appena dopo quel già detto 2005. Forse ci sarebbero state altre possibilità che la vita mi avrebbe offerto, chissà. Quello che so, oggi, è che sono grata alla Mery di quei giorni là… mentre scrivo quasi mi commuovo un po’ anche.

Il 27 maggio 2020, 15 anni e 1 giorno dopo la diagnosi, cambio terapia: dalla multiiniettiva (le penne) al microinfusore. La novità più grande: riuscire a dormire di nuovo 6-7 ore di fila per notte, senza disturbi del sonno per sbalzi glicemici e svegliarsi al mattino riposata. Un supporto enorme per il mio metabolismo, e per valorizzare quel cambio di mentalità che già si era innescato in me. Una possibilità grande per iniziare a imparare a convivere in modo nuovo, integrato, con il diabete. Non subire una condizione di malattia, non eccedere neanche nel bisogno di avere tutto sotto controllo (cosa impraticabile), adattare il mio stile di vita ed essere sempre più me stessa, nella sua versione migliore possibile, imperfetta ed unica.


Qualche giorno fa, un altro viaggio meraviglioso in Nord Africa mi ha portata nel deserto di sabbia di Merzouga. Sembra una montagna, sempre uguale nello spazio che occupa, eppure le dune si trasformano con il vento in continuazione. È una trasformazione lenta, impercettibile e incessante. Perdo la percezione di quello che accade intorno, si attutiscono tutti i suoni. Di nuovo, dopo 15 anni, deserto e silenzio. Risuonano in me momenti della mia storia, significativi per il vissuto che rappresentano, quei salti di qualità che ogni tanto ci sono, si impara poi a riconoscerli con consapevolezza, e che si portano dietro periodi in cui apparentemente non cambia nulla ma c’è in realtà un continuo ed incessante lavorio di miglioramento di… qualità della vita, salute e benessere.

Oggi non è la giornata per festeggiare il diabete. Si potrà festeggiare la sua cura definitiva, quando ci sarà. Oggi è una occasione per fermarsi, informarsi, imparare qualcosa di nuovo,
Per me, per chi vive ogni giorno con il diabete, oggi è anche opportunità per essere ascoltati, non sentirsi soli, guardare alla propria storia e sorridere per i miglioramenti conquistati, la crescita personale nel percorso fatto, continuare a camminare con nuovo coraggio.
Allora sì il 14 novembre ha significato. È come un abbraccio benessere.